Autopresentazione all’Accademia delle Scienze di Torino

A seguire il testo del discorso con cui mercoledì 11 giugno 2025 mi sono presentato all’Accademia delle Scienze di Torino in veste di nuovo socio corrispondente.

Presidente Mezzalama, Vicepresidente Mori, Professor Castelli, Professoressa Ronchi della Rocca, chiarissime consocie e chiarissimi consoci,

venir eletto socio corrispondente di questa prestigiosa Accademia è per me un grande onore. Provo molta gratitudine per i soci che hanno avuto fiducia in me e mi impegnerò per essere all’altezza di un consesso così autorevole e prestigioso.

In quanto nuovo socio, sono stato invitato a presentarmi, “affinché”, leggo dalla comunicazione che mi era stata inviata, “tutti i Soci possano essere informati ed edotti sulle principali attività e sulla carriera dei nuovi Soci, anche al fine di poter, auspicabilmente, stimolare sinergie e/o convergenze di interessi.”

Coerentemente con queste finalità, nei minuti che mi sono stati concessi darò innanzitutto qualche elemento relativo alla mia carriera, concentrandomi su quello che mi sembra più rilevante e rimandando per il resto al mio profilo sul sito dell’Accademia.

Nella seconda parte del mio intervento proverò poi a condividere con voi i miei principali interessi.

Visto il nome che porto, Juan Carlos, concedetemi un brevissimo accenno alla mia biografia personale: il nome è dovuto al fatto che sono nato in Argentina; ero lì perché mio padre, di Torino, lavorava – e ha poi continuato a lavorare per tutta la vita – per un’azienda chiamata Fabbrica Italiana Automobili Torino.

Da adulto per motivi professionali ho poi vissuto, oltre che a Torino, a Santa Barbara in California, a Dallas in Texas e a Cambridge in Massachusetts.

Mi sono laureato al Politecnico di Torino in ingegneria elettronica, indirizzo informatica, con Angelo Raffaele Meo, che considero il mio Maestro e che saluto con affetto.

Il dottorato di ricerca l’ho fatto, sempre al Politecnico, con Ezio Biglieri, passando però la maggior parte del tempo all’Università della California a Santa Barbara, nel laboratorio di Allen Gersho, dove mi sono occupato di codifica del segnale vocale. Erano gli anni del tumultuoso sviluppo della telefonia digitale e poi delle chiamate via Internet.

Dopo la California, conseguito il dottorato, ho lavorato per due anni come ricercatore industriale alla Texas Instruments, sede di Dallas, sempre occupandomi di voce digitale.

Nel 2000 ebbi il privilegio di poter scegliere tra il rimanere negli USA per diventare a tutti gli effetti cittadino statunitense e il tornare in Italia e rimanere italiano. Scelsi di tornare. Questa scelta di vita – pienamente consapevole e mai rimpianta – ha segnato per sempre il modo con cui penso e vivo il mio Paese e la mia città.

Rientrato a Torino prima lavorai al Consiglio Nazionale delle Ricerche e poi, nel 2005, al Politecnico come docente di ingegneria informatica e come fondatore e coordinatore di un gruppo di ricerca su voce, audio e video digitali.

Poco dopo il mio rientro in Italia iniziai a occuparmi, oltre che di multimedia, della relazione tra tecnologie informatiche e società, lavorando – in collaborazione col Prof. Meo – soprattutto nell’ambito del software libero e dei brevetti software.

Nel 2003 con l’avvio, insieme al giurista Marco Ricolfi, del progetto Creative Commons Italia, il tema informatica e società diventò un’area di ricerca, studio e riflessione sempre più importante nell’economia del mio tempo e nella scelta delle mie priorità.

Nel 2005 – insieme al Marco Ajmone Marsan, alla Fondazione Giovanni Agnelli e a numerosi altri partner – ospitammo a Torino i principali esponenti del Berkman Center for Internet & Society della Harvard University, il primo centro al mondo per quel genere di studi. Da quel contatto, poi diventato frequentazione e collaborazione, nacque, nel novembre del 2006 (quindi il prossimo anno celebreremo i 20 anni), il Centro Nexa su Internet e società. Nexa: un centro interdisciplinare, costituito al Politecnico – anche grazie all’interessamento e all’appoggio dell’allora Rettore Francesco Profumo – ma fin dall’inizio in simbiosi con l’Università di Torino, una collaborazione strettissima poi sancita anche da accordi formali col Dipartimento di Giurisprudenza e col Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione.

Mi fermo qui coi cenni alla carriera e passo alla domanda: quali sono i miei interessi?

Il tema che ormai da qualche anno mi appassiona è la computerizzazione del mondo.

Che cosa intendo con questa espressione?

Il primo calcolatore elettronico, l’ENIAC, venne svelato al pubblico il 16 febbraio 1946, quasi esattamente ottant’anni fa.

È, però, solo in questo XXI secolo che la computerizzazione del mondo fa un salto di qualità. Tra le fine del secolo scorso e i primi anni del secolo corrente, infatti, gli sviluppi della microelettronica e delle telecomunicazioni abilitano tre cruciali sviluppi che, in sinergia tra loro, caratterizzano la computerizzazione del mondo di questi ultimi decenni.

Sono anni durante i quali i computer, in genere di dimensioni contenute e connessi a Internet, iniziano a entrare in molti oggetti, a popolare molti spazi e a diventare protesi della maggioranza degli esseri umani.

Ai computer riconoscibili come tali – come i notebook, i computer da scrivania, i server nei “data center”, ecc., ancora molto numerosi e importanti – si sommano prima milioni e poi, soprattutto in questo ultimo decennio, miliardi di oggetti computerizzati (gli oggetti “smart”, come le TV smart o gli aspirapolveri smart), di spazi computerizzati (gli spazi “smart”, come le “smart city”, ma anche molti spazi privati) e, soprattutto, di esseri umani computerizzati (in quanto in simbiosi con smartphone e altri dispositivi personali “smart”). L’aggettivo “smart” (che in inglese non significa “intelligente”, come spesso si crede, ma “brillante” o “alla moda”) significa che qualcosa è stato dotato di computer connesso a Internet.

La “smartificazione” di cose e spazi è un fenomeno della massima rilevanza, di cui non si parla abbastanza, ma è la terza articolazione della computerizzazione del mondo quella che mi sembra di gran lunga la più importante: la computerizzazione degli esseri umani per effetto dell’adozione dei telefoni “smart”, ovvero, dello smartphone, e, in anni ancora più recenti, di altri dispositivi personali “smart”, come orologi, occhiali, braccialetti e anelli.

Come scrivo nel mio libro del 2023 “Contro lo smartphone: per una tecnologia più democratica”, con prefazione di Gustavo Zagrebelsky, lo smartphone è una macchina meravigliosa, io stesso ne faccio un uso intenso, ma allo stesso tempo è una macchina diventata de facto obbligatoria praticamente senza discussioni. Non era mai successo prima che una macchina diventasse così indispensabile per lavorare, studiare, viaggiare, pagare, ecc. Insomma, per vivere. Inoltre lo smartphone – per deliberate scelte progettuali – è un’idrovora di dati personali altamente opaca e infedele. Nel libro cerco di cogliere la totalità del dispositivo, dalle miniere di coltan in Congo alle fabbriche in Cina, dai progettisti della Silicon Valley alle fonderie di silicio a Taiwan e in Corea, dagli impatti ambientali a quelli sul benessere psicologico e informativo. Oltre a descrivere lo smartphone attualmente esistente, l’opera spiega come si potrebbe avere uno smartphone ugualmente utile e divertente, ma molto più trasparente e rispettoso dell’ambiente e, soprattutto, di noi utenti.

Tornando alla questione generale, mi interessa, dunque, comprendere la computerizzazione del mondo: da chi viene realizzata, come viene realizzata, con quali scopi, con quali conseguenze – con una particolare attenzione alle alternative, sempre possibili, come in tutte le vicende umane.

In ambito specialistico, mi occupo di come i dati e gli algoritmi possano – in vari modi e per vari motivi – produrre discriminazioni.

La seconda mia passione consiste nel riflettere a tutto tondo sulla mia istituzione, ovvero, l’Università. Si tratta di una passione che prende l’avvio intorno al 2010, quando si iniziava a parlare molto di MOOC. Ricordate i Massive Open Online Courses, i MOOC, appunto? Ricordate quando qualcuno, per esempio il solito Bill Gates, diceva che in cinque anni la maggior parte delle università sarebbe scomparsa perché tanto si sarebbero potute seguire le lezioni dei premi Nobel comodamente da casa? È in quel frangente che iniziai a studiare e a riflettere sul futuro dell’Università, una ricerca che produrrà qualche anno dopo, nel 2017, il libro “Università futura: tra democrazia e bit”. In quel libro, dopo aver analizzato le conseguenze delle degenerazioni neoliberiste degli ultimi 30 anni, traccio un ideale normativo di come dovrebbe essere l’Università nel complicato contesto del XXI secolo.

Oggi i discorsi che quindici anni fa si facevano sui MOOC si stanno facendo, mutatis mutandis, a proposito dell’Intelligenza Artificiale. Una bolla di enfasi ancora maggiore, una scarsità generalizzata di sobrietà, ma anche questa volta con un effetto collaterale positivo: la novità tecnologica ci costringe, infatti, a porci domande di fondo, tanto scomode quanto importanti. Che cosa è l’università? Chi è uno studente? Chi è un professore? Come vogliamo che sia un laureato? Che ruolo sociale ha l’università? Che rapporto ha con la democrazia? In quel libro provavo a rispondere a queste, e ad altre domande, indicando una possibile direzione, che continua a sembrarmi convincente ancora oggi.

A otto anni di distanza dalla pubblicazione di quel libro – lasciatemi fare questa osservazione – la degenerazione dell’Università, in Italia e in tutto l’Occidente, non solo non si è fermata, ma si è ulteriormente aggravata. Ormai mi sembra che dovremmo addirittura chiederci se, per onestà intellettuale, non sia giunta l’ora di smettere di usare la parola “università” e iniziare a usarne un’altra, più descrittiva dell’effettivo stato dell’istituzione. Come si è iniziato, circa vent’anni fa, a parlare di “post-democrazia”, forse è ora di iniziare a parlare anche di “post-università”, per rendere esplicito che una certa idea di università è ormai, nei fatti, morta, anche se in futuro potrebbe, come la democrazia e come tutti auspichiamo, rinascere dalle sue ceneri.

In ogni caso, subito dopo la pubblicazione di “Università futura”, ovvero, tra il 2018 e il 2023 ho avuto il raro privilegio di poter tradurre in pratica – grazie all’allora Rettore Guido Saracco, agli organi di governo del Politecnico e a un gran numero di colleghe e colleghi – almeno alcune delle idee che avevo articolato in “Università futura”.

Per limiti di tempo, mi concentrerò sulle tre iniziative principali (per una descrizione più estesa v. questo articolo), facendo però prima una premessa: tutte e tre avevano l’obiettivo di valorizzare il fatto che la tecnologia è umanità, per usare il motto con cui Biennale Tecnologia nacque nel 2019. La tecnologia, infatti, non è natura, la tecnologia non capita, non arriva da un lontano pianeta: la tecnologia è sempre il frutto di specifiche scelte e azioni umane e di uno specifico contesto non solo tecnico-scientifico, ma anche culturale, sociale, politico, geopolitico, produttivo, economico e ambientale. Inoltre la tecnologia retroagisce sulle persone, sulla società e sull’ambiente. Occorre, quindi – sulle orme di Luciano Gallino, la cui voce enciclopedica dal titolo “Tecnologia e società” è stata riedita da Treccani ed è in uscita proprio in questi giorni – smettere di parlare delle conseguenze sociali della tecnologia, e parlare piuttosto di coevoluzione di tre ordini di popolazioni: organismi umani, sistemi tecnologici e sistemi socioculturali. Per adottare questa prospettiva le sole competenze ingegneristiche non bastano: senza stravolgere l’impianto generale degli studi di ingegneria, occorre favorire un dialogo tra saperi, un dialogo che in realtà fa parte da sempre della storia del Politecnico, anche se relativamente pochi colleghi ne sono consapevoli. In proposito, basti ricordare che circa trent’anni fa il Politecnico diede vita all’Istituto di Studi Superiori in Scienze Umane. L’Istituto, promosso e coordinato da Carlo Olmo, coinvolse, oltre che molti esponenti di punta della cultura politecnica, tra cui Gian Vincenzo Fracastoro, Roberto Gabetti, Vittorio Marchis, Mario Rasetti, Mario Pent e Rodolfo Zich, alcuni tra i massimi esponenti delle discipline umanistiche e sociali, tra cui Arnaldo Bagnasco, Giulio Bollati, Luciano Gallino, Carlo Ossola e Gianni Vattimo.

A distanza di circa trent’anni dall’esperienza, purtroppo di breve durata, dell’Istituto diretto da Carlo Olmo, nel 2018 l’Ateneo avviò tre principali iniziative riguardanti le scienze umane e sociali per l’ingegneria, una per ciascuna delle tre missioni canoniche dell’Università – didattica, ricerca e la cosiddetta terza missione.

Riguardo alla prima missione, la didattica, il Politecnico istituì un insegnamento denominato Grandi Sfide, la cui prima lezione ebbe luogo nell’Anno Accademico 2021– 2022. Da allora fino a oggi tutti gli studenti di ingegneria della triennale (circa 3.600) devono scegliere un corso tra ventiquattro, raggruppati in sei “Grandi sfide”, ovvero: clima, mobilità, digitale, salute, energia, tecnologie e umanità. Tutti i corsi hanno la stessa impostazione: dopo una prima parte online, con lezioni registrate di Jeffrey Sachs e, soprattutto, di Telmo Pievani, e dopo un’introduzione di tre ore alla specifica sfida (io ho finora curato quella relativa al digitale), gli studenti iniziano a seguire lezioni in aula insegnate da due docenti, un/una tecnologo/a e uno/una umanista o scienziato/a sociale. Dopo un certo numero di lezioni frontali, gli studenti approfondiscono uno specifico argomento grazie a un lavoro di gruppo, che deve seguire la stessa impostazione interdisciplinare del corso.

Per quello che riguarda la seconda missione, ovvero, la ricerca, il Politecnico, così avvicinandosi alle migliori esperienze europee e statunitensi, in anni recenti ha reclutato sei studiosi di discipline umanistiche e sociali, che sono stati poi inseriti in sei diversi Dipartimenti dell’Ateneo, dando impulso a proficui scambi interdisciplinari, oltre che a nuovi insegnamenti.

Riguardo, infine, alla cosiddetta “terza missione”, nel 2018 il Politecnico decise di realizzare una grande manifestazione culturale, rivolta non solo alla comunità politecnica, ma al grande pubblico, a partire dalle scuole, dedicandola proprio al rapporto tra tecnologia e società. Nacque così Biennale Tecnologia, una iniziativa da me ideata, un festival culturale in dialogo con Biennale Democrazia e in collaborazione con moltissimi partner, di cui ho curato, insieme a Luca De Biase, le prime quattro edizioni (2019, 2020, 2022 e 2024). Mi sembra di poter affermare che in pochi anni Biennale Tecnologia sia riuscita a diventare una delle principali iniziative culturali della città e in assoluto una delle più importanti realtà a livello internazionale dedicate a tecnologia e società.

Concludo: sono, come tanti, uno studioso che ama insegnare. La sistole dello studio e la diastole dell’insegnamento.

Per studiare e insegnare al meglio sento il bisogno di provare a capire il mondo. Il mondo che ci è toccato vivere, quello di oggi, con le sue infinite bellezze, ma anche le sue tragedie e i suoi abissi, come la guerra in corso in Ucraina o l’abominevole sterminio in corso a Gaza.

Del mondo tento di cogliere la totalità, radicato nella mia disciplina, ma proteso ad attraversare i confini tra i saperi, se questo torna utile, e in effetti molto spesso è così, anzi, è indispensabile: basta sapere quali valichi percorrere e a quali interlocutori rivolgersi.

Sono, quindi, particolarmente felice di essere stato accolto in un’istituzione come l’Accademia delle Scienze, dove da 242 anni tutti i saperi si confrontano.

Vi ringrazio fin d’ora per i consigli e le osservazioni che mi farete – lo spero – l’onore di rivolgermi, quando lo riterrete opportuno.

Grazie.