Un nuovo ordine per il diritto d'autore
Questo intervento è stato scritto su invito dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per la newsletter mensile di informazione AgCom, n. 3/11.
Non capita di frequente che una generazione venga chiamata dalla storia a riconsiderare dalle fondamenta un impianto normativo antico di secoli. Un impianto magari ricco non solo di anni, ma anche di cultura, di valori condivisi, di nobili principi. Non capita di frequente, però a volte capita. E nessuno ci può fare nulla. Perché il motore della storia è spesso la tecnica e l'evoluzione della tecnica, piaccia o non piaccia, non si può fermare, non più di quanto in passato si sia potuto impedire l'affermazione della stampa a caratteri mobili o dell'energia elettrica.
Tuttavia, se la chiamata della storia è in sé ineluttabile, il modo in cui si gestisce il cambiamento è invece aperto a molti possibili esiti, dal più retrogrado al più illuminato. E per i diretti interessati, ma anche per le generazioni successive, fa moltissima differenza collocarsi in un punto oppure in un altro tra i due estremi. Perché se è vero che la nuova tecnologia alla fine si affermerà comunque, è altrettanto vero che il modo specifico in cui si affermerà produrrà effetti molto diversi nei diversi scenari. La nuova tecnologia, per esempio, sarà appannaggio di tanti o di pochi? Sarà usata per massimizzare il benessere della società o per beneficiare solo qualcuno? Da chi sarà controllata? E così via.
Ebbene, alla nostra generazione è toccato il compito - al tempo stesso difficile e entusiasmante - di affrontare una sfida di portata storica, ovvero, di affrontare la rivoluzione digitale in tutti i suoi aspetti. Tra gli aspetti principali, il diritto d'autore. Impianto normativo secolare, glorioso, ricco di cultura e di nobili principi. Eppure anch'esso costrutto sociale che - come tutti gli altri - non può eludere il vaglio della generazione corrente.
E in questo momento la razionalità - e, in maniera crescente, l'evidenza empirica - ci dice che lo specifico meccanismo che secoli fa i nostri antenati avevano pensato per incentivare la produzione di nuove opere è in profonda crisi per effetto della rivoluzione digitale.
Più specificamente, in un epoca in cui usi, remix e diffusione di contenuti creativi sono alla portata anche di un bambino è diventato altamente problematica la scelta di impegnare lo Stato nella concessione e tutela di un monopolio non solo amplissimo sugli usi di un'opera, ma anche molto esteso nel tempo. Un'opera - per esempio un blog - prodotta oggi da un ventenne verrà tutelata fino a 70 anni dopo la sua morte, ovvero, con le aspettative di vita attuali, fino all'incirca all'anno di grazia 2140. Che senso ha nell'età digitale, con due miliardi di persone che producono contenuti (testi, audio, video) quasi mai con l'aspettativa di un ritorno economico e a volumi in crescita costante? Andava forse bene per Disney in passato, nell'era dei supporti fisici prodotti industrialmente, ma non per i semplici cittadini di questa epoca digitale. Per non parlare della bizantina complessità del diritto d'autore, particolarmente nella sua dimensione internazionale, un groviglio di norme, eccezioni e di casi speciali da mettere spesso in disaccordo tra loro anche i giuristi più preparati. In proposito la visione del video di informazione sul copyright pubblicato da YouTube rivolto ai giovani è molto istruttivo: in molti casi, infatti, l'indicazione è: "Contact a lawyer".
Ma se una legge perde la base tecnologica che ne era il presupposto (il controllo di supporti fisici prodotti da attori economici) e nel contempo si ritrova a regolare contro ogni previsione la vita di miliardi di persone, non è ora di ripensarla dalle radici?
Secondo il punto di vista di chi scrive - e di molti altri - certamente sì.
Ma come scrive Niccolò Machiavelli nel Principe: "E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini." Eppure abbiamo proprio bisogno di definire un "nuovo ordine": le circostanze non permettono altrimenti. Il fiorentino però scriveva quasi cinquecento anni fa, in un'epoca di principi e di signori. In una democrazia moderna come la nostra quali dovrebbero invece essere le forze in campo? Principalmente tre: 1. la forza (legittima) di chi beneficia del vecchio sistema e che quindi ha interesse a prolungarlo il più possibile; 2. la forza (legittima) di chi beneficierebbe di un eventuale nuovo sistema e ha quindi tutto l'interesse di favorirne la nascita; 3. la forza (legittimissima) di chi vuole - e, in certi casi, deve per mandato istituzionale - plasmare le norme per massimizzare il bene comune.
Pur riconoscendo piena legittimità alle prime due forze - le sole prese in considerazione da Machiavelli - in una democrazia non può essere che la terza forza a gestire il cambiamento. Ricevendo informazioni e stimoli da chi ha interessi di parte, ma senza mai mancare di fedeltà - pena una fatale perdita di legittimità democratica - all'interesse collettivo. Interesse che deve essere identificato conducendo un dibattito il più possibile razionale e obiettivo non solo all'interno degli organi preposti, in primis il Parlamento, ma anche nella società nel suo complesso.
Cosa sta invece avvenendo da oltre un decennio a questa parte a livello non solo italiano, ma anche internazionale? Avvenimenti che purtroppo stanno dando finora ragione a Machiavelli. La forza del vecchio sistema, infatti, sta avendo successo a impedire non solo l'emersione, ma spesso anche solo la discussione relativa a un possibile "nuovo ordine", nel contempo influenzando in maniera spesso scandalosamente di parte la definizione di norme a tutti i livelli.
Non solo: si sta addirittura premendo per sfruttare i cambiamenti portati dal digitale per eliminare diritti degli utenti antichi di secoli. Un esempio? Potete forse dare in prestito un ebook che avete regolarmente acquistato, così come avete sempre prestato i vostri libri agli amici? No? E perché no? E perché mai alcuni editori non vorrebbero che le biblioteche dessero ebook in prestito, impedendo una prassi che nel mondo fisico diamo per scontata da generazioni?
Da dove ripartire, dunque? Vengono in mente le parole del presidente Luigi Einaudi: "Perché è così lungo l’elenco dei problemi urgenti, e così corto quello degli scritti in cui sia chiarito il contenuto di essi? Come si può deliberare senza conoscere? Nulla tuttavia ripugna più della conoscenza a molti, forse a troppi di coloro che sono chiamati a risolvere problemi."
In altre parole, almeno in teoria la via è chiara: si riparta dalla conoscenza: come funziona realmente e oggettivamente il sistema attuale? Numeri, cifre, costi, casi concreti, prodotti in maniera imparziale e con rigore scientifico. Che un'indagine parlamentare - perché quella è la sede giusta per una simile analisi - getti autorevolmente luce sul sistema del diritto d'autore, sul ruolo di SIAE, sullo stato degli autori, sui diritti degli utenti, sulla situazione internazionale, e così via.
Poi, avendo fotografato l'esistente, che si svolga una riflessione collettiva la più laica possibile su come sfruttare le opportunità offerte dal digitale per massimizzare i ritorni per la collettività nel suo insieme. Tutelando in via assolutamente prioritaria autori - che senza alcun dubbio meritano di veder adeguatamente riconosciuti i loro diritti morali ed economici - e utenti, perchè l'intero sistema era nato per loro e continua ad aver senso solo se rapportato primariamente a loro. Nella convinzione che il nuovo sistema riserverebbe comunque amplissimi spazi per l'iniziativa di intermediari di vario tipo. I quali però dovrebbero venire invitati a concentrarsi sulle straordinarie opportunità offerte dalla tecnologia invece che rimanere tenacemente ancorati a modelli di business obsoleti.
L'Autorità per le Garanzie nelle Communicazioni, col suo grande patrimonio di competenze e il suo prestigio, può fare potenzialmente molto per aiutare sia il Parlamento sia la società a gestire la complessa, ma inevitabile transizione al nuovo. Favorendo un ripensamento pacato ma radicale, senza dogmi e senza distorsioni. Solo così la nostra generazione potrà dire di aver essere stata all'altezza dei cambiamenti di portata storica che è stata chiamata ad affrontare.
L'autore Juan Carlos De Martin rilascia questo testo con licenza Creative Commons Attribuzione Italia 3.0, http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/it/.
Non capita di frequente che una generazione venga chiamata dalla storia a riconsiderare dalle fondamenta un impianto normativo antico di secoli. Un impianto magari ricco non solo di anni, ma anche di cultura, di valori condivisi, di nobili principi. Non capita di frequente, però a volte capita. E nessuno ci può fare nulla. Perché il motore della storia è spesso la tecnica e l'evoluzione della tecnica, piaccia o non piaccia, non si può fermare, non più di quanto in passato si sia potuto impedire l'affermazione della stampa a caratteri mobili o dell'energia elettrica.
Tuttavia, se la chiamata della storia è in sé ineluttabile, il modo in cui si gestisce il cambiamento è invece aperto a molti possibili esiti, dal più retrogrado al più illuminato. E per i diretti interessati, ma anche per le generazioni successive, fa moltissima differenza collocarsi in un punto oppure in un altro tra i due estremi. Perché se è vero che la nuova tecnologia alla fine si affermerà comunque, è altrettanto vero che il modo specifico in cui si affermerà produrrà effetti molto diversi nei diversi scenari. La nuova tecnologia, per esempio, sarà appannaggio di tanti o di pochi? Sarà usata per massimizzare il benessere della società o per beneficiare solo qualcuno? Da chi sarà controllata? E così via.
Ebbene, alla nostra generazione è toccato il compito - al tempo stesso difficile e entusiasmante - di affrontare una sfida di portata storica, ovvero, di affrontare la rivoluzione digitale in tutti i suoi aspetti. Tra gli aspetti principali, il diritto d'autore. Impianto normativo secolare, glorioso, ricco di cultura e di nobili principi. Eppure anch'esso costrutto sociale che - come tutti gli altri - non può eludere il vaglio della generazione corrente.
E in questo momento la razionalità - e, in maniera crescente, l'evidenza empirica - ci dice che lo specifico meccanismo che secoli fa i nostri antenati avevano pensato per incentivare la produzione di nuove opere è in profonda crisi per effetto della rivoluzione digitale.
Più specificamente, in un epoca in cui usi, remix e diffusione di contenuti creativi sono alla portata anche di un bambino è diventato altamente problematica la scelta di impegnare lo Stato nella concessione e tutela di un monopolio non solo amplissimo sugli usi di un'opera, ma anche molto esteso nel tempo. Un'opera - per esempio un blog - prodotta oggi da un ventenne verrà tutelata fino a 70 anni dopo la sua morte, ovvero, con le aspettative di vita attuali, fino all'incirca all'anno di grazia 2140. Che senso ha nell'età digitale, con due miliardi di persone che producono contenuti (testi, audio, video) quasi mai con l'aspettativa di un ritorno economico e a volumi in crescita costante? Andava forse bene per Disney in passato, nell'era dei supporti fisici prodotti industrialmente, ma non per i semplici cittadini di questa epoca digitale. Per non parlare della bizantina complessità del diritto d'autore, particolarmente nella sua dimensione internazionale, un groviglio di norme, eccezioni e di casi speciali da mettere spesso in disaccordo tra loro anche i giuristi più preparati. In proposito la visione del video di informazione sul copyright pubblicato da YouTube rivolto ai giovani è molto istruttivo: in molti casi, infatti, l'indicazione è: "Contact a lawyer".
Ma se una legge perde la base tecnologica che ne era il presupposto (il controllo di supporti fisici prodotti da attori economici) e nel contempo si ritrova a regolare contro ogni previsione la vita di miliardi di persone, non è ora di ripensarla dalle radici?
Secondo il punto di vista di chi scrive - e di molti altri - certamente sì.
Ma come scrive Niccolò Machiavelli nel Principe: "E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini." Eppure abbiamo proprio bisogno di definire un "nuovo ordine": le circostanze non permettono altrimenti. Il fiorentino però scriveva quasi cinquecento anni fa, in un'epoca di principi e di signori. In una democrazia moderna come la nostra quali dovrebbero invece essere le forze in campo? Principalmente tre: 1. la forza (legittima) di chi beneficia del vecchio sistema e che quindi ha interesse a prolungarlo il più possibile; 2. la forza (legittima) di chi beneficierebbe di un eventuale nuovo sistema e ha quindi tutto l'interesse di favorirne la nascita; 3. la forza (legittimissima) di chi vuole - e, in certi casi, deve per mandato istituzionale - plasmare le norme per massimizzare il bene comune.
Pur riconoscendo piena legittimità alle prime due forze - le sole prese in considerazione da Machiavelli - in una democrazia non può essere che la terza forza a gestire il cambiamento. Ricevendo informazioni e stimoli da chi ha interessi di parte, ma senza mai mancare di fedeltà - pena una fatale perdita di legittimità democratica - all'interesse collettivo. Interesse che deve essere identificato conducendo un dibattito il più possibile razionale e obiettivo non solo all'interno degli organi preposti, in primis il Parlamento, ma anche nella società nel suo complesso.
Cosa sta invece avvenendo da oltre un decennio a questa parte a livello non solo italiano, ma anche internazionale? Avvenimenti che purtroppo stanno dando finora ragione a Machiavelli. La forza del vecchio sistema, infatti, sta avendo successo a impedire non solo l'emersione, ma spesso anche solo la discussione relativa a un possibile "nuovo ordine", nel contempo influenzando in maniera spesso scandalosamente di parte la definizione di norme a tutti i livelli.
Non solo: si sta addirittura premendo per sfruttare i cambiamenti portati dal digitale per eliminare diritti degli utenti antichi di secoli. Un esempio? Potete forse dare in prestito un ebook che avete regolarmente acquistato, così come avete sempre prestato i vostri libri agli amici? No? E perché no? E perché mai alcuni editori non vorrebbero che le biblioteche dessero ebook in prestito, impedendo una prassi che nel mondo fisico diamo per scontata da generazioni?
Da dove ripartire, dunque? Vengono in mente le parole del presidente Luigi Einaudi: "Perché è così lungo l’elenco dei problemi urgenti, e così corto quello degli scritti in cui sia chiarito il contenuto di essi? Come si può deliberare senza conoscere? Nulla tuttavia ripugna più della conoscenza a molti, forse a troppi di coloro che sono chiamati a risolvere problemi."
In altre parole, almeno in teoria la via è chiara: si riparta dalla conoscenza: come funziona realmente e oggettivamente il sistema attuale? Numeri, cifre, costi, casi concreti, prodotti in maniera imparziale e con rigore scientifico. Che un'indagine parlamentare - perché quella è la sede giusta per una simile analisi - getti autorevolmente luce sul sistema del diritto d'autore, sul ruolo di SIAE, sullo stato degli autori, sui diritti degli utenti, sulla situazione internazionale, e così via.
Poi, avendo fotografato l'esistente, che si svolga una riflessione collettiva la più laica possibile su come sfruttare le opportunità offerte dal digitale per massimizzare i ritorni per la collettività nel suo insieme. Tutelando in via assolutamente prioritaria autori - che senza alcun dubbio meritano di veder adeguatamente riconosciuti i loro diritti morali ed economici - e utenti, perchè l'intero sistema era nato per loro e continua ad aver senso solo se rapportato primariamente a loro. Nella convinzione che il nuovo sistema riserverebbe comunque amplissimi spazi per l'iniziativa di intermediari di vario tipo. I quali però dovrebbero venire invitati a concentrarsi sulle straordinarie opportunità offerte dalla tecnologia invece che rimanere tenacemente ancorati a modelli di business obsoleti.
L'Autorità per le Garanzie nelle Communicazioni, col suo grande patrimonio di competenze e il suo prestigio, può fare potenzialmente molto per aiutare sia il Parlamento sia la società a gestire la complessa, ma inevitabile transizione al nuovo. Favorendo un ripensamento pacato ma radicale, senza dogmi e senza distorsioni. Solo così la nostra generazione potrà dire di aver essere stata all'altezza dei cambiamenti di portata storica che è stata chiamata ad affrontare.
L'autore Juan Carlos De Martin rilascia questo testo con licenza Creative Commons Attribuzione Italia 3.0, http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/it/.