Editoriale: "Una riforma per gli onesti"
Una riforma per gli onesti
Juan Carlos De Martin
La Repubblica, p. 1, 27 settembre 2017
Nel pieno di uno scandalo come quello di Firenze, riguardante docenti universitari di diritto tributario, non è facile scrivere nulla che non sia un attacco puro e semplice alla corruzione in ambito universitario. Da un certo punto di vista è inevitabile e forse anche doveroso. Tuttavia la riflessione pubblica non può limitarsi all'ennesima geremiade sull'ennesimo scandalo.
Occorre innanzitutto chiedersi come mai le presunte panacee di questi ultimi otto anni non abbiano funzionato, dalla riforma Gelmini (approvata nel 2010 a colpi di fiducia), riforma che avrebbe dovuto scardinare il potere dei "baroni" e che invece ha verticalizzato il potere nelle università, agli algoritmi e alle "misure oggettive" dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che avrebbero - secondo le promesse - dovuto creare un paradiso di meritocrazia in terra e che, invece, a quanto pare hanno solo modificato le modalità della corruzione, non la sostanza. E' evidente che un intero approccio, basato sull'accentramento del potere e su una montagna di regole e formalismi, ha mancato il bersaglio e andrebbe ripensato da zero.
Ma bisogna anche avere il coraggio, anche in un momento come questo di forte indignazione, di ricordare che abbiamo il dovere di ragionare non solo di casi (che siano 5, 15 o 50), ma anche e soprattutto di sistema universitario.
Perché non si discute del sistema universitario nello stesso modo in cui si ragiona, per esempio, di sistema sanitario nazionale, di Forze Armate o di Forze dell'Ordine, ovvero, valutando il sistema nel suo complesso? Solo così è possibile dare un contesto a qualsiasi fenomeno, inclusi quelli di malcostume o di illeciti. Non per sminuire o sviare l'attenzione, ma per capire, a testa fredda e dati alla mano. Quante università vogliamo? Distribuite come? Di quale dimensione? Con quante risorse complessive? Con quali salari? Con quale livello di diritto allo studio e con quali tasse?
E quando volessimo ragionare di prestazioni, il sistema universitario italiano come si confronta coi sistemi francese, inglese, tedesco, ecc.? Uno dei modi più immediatamente comprensibili per valutare un sistema nazionale sanitario è guardare, per esempio, alla durata media della vita dei cittadini, nel caso dell'Italia molto alta (tra l'altro con una spesa complessiva decisamente contenuta). Perché non facciamo quasi mai lo stesso col sistema universitario?
Se lo facessimo, scopriremmo che l'Università italiana si colloca solidamente e sistematicamente tra le prime dieci al mondo per la ricerca; e se normalizzassimo questo risultato per le risorse investite (l'Italia è il penultimo paese OCSE per finanziamento pubblico all'Università), sarebbe addirittura la prima al mondo.
E i 50.000 ricercatori italiani all'estero (quasi sempre forzati ad emigrare a causa della spaventosa carenza di posti in patria), come li giustifichiamo se non con un sistema perfettamente in grado di formare persone ai massimi livelli?
Questi dati di sistema giustificano forse nepotismo o corruzione? Ovviamente no. Ma ci dicono qualcosa con cui tutte le persone intellettualmente oneste dovrebbero necessariamente fare i conti: che è materialmente impossibile che l'Università italiana sia - come a volte viene descritta - un'istituzione popolata da lazzaroni o da incapaci. Ci deve per forza essere una maggioranza di docenti e ricercatori che lavora onestamente e con onore, altrimenti le buone prestazioni del sistema sarebbero semplicemente impossibili da spiegare.
Il fatto che un sistema nazionale sia sicuramente dignitoso e forse anche qualcosa di più - come credo sia ragionevole sostenere a riguardo sia del sistema sanitario italiano, sia di quello universitario sia di quello delle Forze dell'Ordine - significa che allora va tutto bene, che possiamo tranquillamente ignorare scandali e altri problemi?
Ripeto: ovviamente no. E' doveroso contrastare con la massima energia sprechi, nepotismi, ecc., ovunque si presentino, e forse con un'energia ancora maggiore nel caso dell'Università, considerato l'alto ruolo educativo e civile che svolge l'istituzione (di cui faccio parte e che vorrei con tutte le mie forze fosse in grado di superare i suoi limiti).
Ma contemporaneamente dobbiamo tenere la testa fredda e valutare la situazione senza generalizzazioni indebite e senza scorciatoie demagogiche, avendo sempre a cura il futuro del sistema nel suo complesso. Da questo punto di vista chi oggi sostiene che gli scandali indeboliscono la richiesta di risorse per l'Università, prostrata da quasi dieci anni di tagli, non fa che assicurare una cosa: il definitivo scoraggiamento di chi va ogni giorno in aula, in laboratorio, in biblioteca.
Combattiamo senza pietà corruzione e nepotismi, ma assicuriamo contemporaneamente sia risorse adeguate, sia una ricerca di possibili soluzioni ai problemi che coinvolga, come non è mai stato fatto in passato, tutti i docenti e ricercatori, non solo i vertici accademici.
Juan Carlos De Martin
La Repubblica, p. 1, 27 settembre 2017
Nel pieno di uno scandalo come quello di Firenze, riguardante docenti universitari di diritto tributario, non è facile scrivere nulla che non sia un attacco puro e semplice alla corruzione in ambito universitario. Da un certo punto di vista è inevitabile e forse anche doveroso. Tuttavia la riflessione pubblica non può limitarsi all'ennesima geremiade sull'ennesimo scandalo.
Occorre innanzitutto chiedersi come mai le presunte panacee di questi ultimi otto anni non abbiano funzionato, dalla riforma Gelmini (approvata nel 2010 a colpi di fiducia), riforma che avrebbe dovuto scardinare il potere dei "baroni" e che invece ha verticalizzato il potere nelle università, agli algoritmi e alle "misure oggettive" dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che avrebbero - secondo le promesse - dovuto creare un paradiso di meritocrazia in terra e che, invece, a quanto pare hanno solo modificato le modalità della corruzione, non la sostanza. E' evidente che un intero approccio, basato sull'accentramento del potere e su una montagna di regole e formalismi, ha mancato il bersaglio e andrebbe ripensato da zero.
Ma bisogna anche avere il coraggio, anche in un momento come questo di forte indignazione, di ricordare che abbiamo il dovere di ragionare non solo di casi (che siano 5, 15 o 50), ma anche e soprattutto di sistema universitario.
Perché non si discute del sistema universitario nello stesso modo in cui si ragiona, per esempio, di sistema sanitario nazionale, di Forze Armate o di Forze dell'Ordine, ovvero, valutando il sistema nel suo complesso? Solo così è possibile dare un contesto a qualsiasi fenomeno, inclusi quelli di malcostume o di illeciti. Non per sminuire o sviare l'attenzione, ma per capire, a testa fredda e dati alla mano. Quante università vogliamo? Distribuite come? Di quale dimensione? Con quante risorse complessive? Con quali salari? Con quale livello di diritto allo studio e con quali tasse?
E quando volessimo ragionare di prestazioni, il sistema universitario italiano come si confronta coi sistemi francese, inglese, tedesco, ecc.? Uno dei modi più immediatamente comprensibili per valutare un sistema nazionale sanitario è guardare, per esempio, alla durata media della vita dei cittadini, nel caso dell'Italia molto alta (tra l'altro con una spesa complessiva decisamente contenuta). Perché non facciamo quasi mai lo stesso col sistema universitario?
Se lo facessimo, scopriremmo che l'Università italiana si colloca solidamente e sistematicamente tra le prime dieci al mondo per la ricerca; e se normalizzassimo questo risultato per le risorse investite (l'Italia è il penultimo paese OCSE per finanziamento pubblico all'Università), sarebbe addirittura la prima al mondo.
E i 50.000 ricercatori italiani all'estero (quasi sempre forzati ad emigrare a causa della spaventosa carenza di posti in patria), come li giustifichiamo se non con un sistema perfettamente in grado di formare persone ai massimi livelli?
Questi dati di sistema giustificano forse nepotismo o corruzione? Ovviamente no. Ma ci dicono qualcosa con cui tutte le persone intellettualmente oneste dovrebbero necessariamente fare i conti: che è materialmente impossibile che l'Università italiana sia - come a volte viene descritta - un'istituzione popolata da lazzaroni o da incapaci. Ci deve per forza essere una maggioranza di docenti e ricercatori che lavora onestamente e con onore, altrimenti le buone prestazioni del sistema sarebbero semplicemente impossibili da spiegare.
Il fatto che un sistema nazionale sia sicuramente dignitoso e forse anche qualcosa di più - come credo sia ragionevole sostenere a riguardo sia del sistema sanitario italiano, sia di quello universitario sia di quello delle Forze dell'Ordine - significa che allora va tutto bene, che possiamo tranquillamente ignorare scandali e altri problemi?
Ripeto: ovviamente no. E' doveroso contrastare con la massima energia sprechi, nepotismi, ecc., ovunque si presentino, e forse con un'energia ancora maggiore nel caso dell'Università, considerato l'alto ruolo educativo e civile che svolge l'istituzione (di cui faccio parte e che vorrei con tutte le mie forze fosse in grado di superare i suoi limiti).
Ma contemporaneamente dobbiamo tenere la testa fredda e valutare la situazione senza generalizzazioni indebite e senza scorciatoie demagogiche, avendo sempre a cura il futuro del sistema nel suo complesso. Da questo punto di vista chi oggi sostiene che gli scandali indeboliscono la richiesta di risorse per l'Università, prostrata da quasi dieci anni di tagli, non fa che assicurare una cosa: il definitivo scoraggiamento di chi va ogni giorno in aula, in laboratorio, in biblioteca.
Combattiamo senza pietà corruzione e nepotismi, ma assicuriamo contemporaneamente sia risorse adeguate, sia una ricerca di possibili soluzioni ai problemi che coinvolga, come non è mai stato fatto in passato, tutti i docenti e ricercatori, non solo i vertici accademici.