Editoriale "La Stampa": Quale università dopo la pandemia?
Come sarà l'Università del futuro? La domanda inizia a circolare, e non solo in ambito accademico, come è giusto che sia. La tragedia che stiamo vivendo, infatti, è un evento di portata storica, che probabilmente modificherà molte cose in profondità. E' quindi doveroso iniziare a interrogarsi su quali possano essere gli scenari futuri, non solo per aiutare le Università a prepararsi per tempo, ma anche per provare a influire direttamente sugli sviluppi, in modo da salvaguardare - e se possibile rafforzare - il ruolo sociale degli Atenei.
Quella che si profila all'orizzonte è una crisi economica probabilmente più grave di quella del 2008, forse addirittura paragonabile a quella del '29. Anche nel caso - auspicabile - che si riesca ad evitare uno scenario così fosco, è comunque ragionevole ipotizzare che molte cose cambieranno e non solo in ambito economico. Esattamente quali saranno i cambiamenti naturalmente non lo sa ancora nessuno, si possono solo fare degli scenari. Come in tutte le crisi, infatti, ci saranno - anzi, sono già iniziate - scontri e negoziati, anche feroci, per dare forma al futuro, scontri e negoziati il cui esito è ancora molto aperto.
E' però possibile dare per ragionevolmente probabili alcuni sviluppi, tra cui i seguenti:
Riguardo al mondo dell'istruzione è evidente che il grande esperimento forzato di insegnamento online di queste settimane lascerà tracce importanti anche dopo l'emergenza. Ciò è positivo a patto che nel dare forma al futuro si faccia tesoro degli studi di questi ultimi dieci anni che hanno dimostrato l'importanza del rapporto interpersonale tra docente e studente per assicurare buoni livelli di successo educativo. Un digitale, quindi, non sostitutivo (se non in emergenza), ma - salvaguardata la salute - utile strumento a disposizione dei docenti per aumentare ulteriormente l'efficacia della loro azione in presenza.
A parte il digitale e focalizzandoci sulle Università, se gli scenari sopra tratteggiati si realizzeranno anche solo in parte si profila un'Università che, pur rimanendo ben connessa con la comunità internazionale, diventa più attenta di quanto non fosse già in passato alle priorità nazionali. In particolare vorrei portare l'attenzione sulla assai probabile (e auspicabile) decisione di far crescere il mercato interno per compensare la diminuzione delle esportazioni. Se ciò effettivamente capitasse, tale cambiamento potrebbe rappresentare, oltre al resto, un'opportunità non solo per recuperare quella porzione della base manufatturiera che abbiamo perso negli ultimi 20 anni, ma anche per alzare il livello tecnologico e organizzativo medio del tessuto produttivo italiano. In tal caso le Università svolgerebbero un ruolo essenziale non solo perché fornirebbero i laureati necessari per realizzare tale salto di qualità, ma anche perché, se sostenute da politiche adeguate, potrebbero contribuire direttamente intensificando le collaborazioni con le imprese.
In ogni caso le Università non devono solo seguire gli sviluppi e prepararsi di conseguenza, ma anche contribuire direttamente a dare forma al mondo che sta nascendo da questa crisi partecipando alle discussioni, realizzando studi, prospettando soluzioni creative alle sfide di questa crisi senza precedenti. Lo devono fare sforzandosi di rappresentare gli interessi della maggioranza degli italiani e con l'obiettivo di creare le condizioni per aumentare ulteriormente il loro contributo al benessere culturale, materiale e civile della collettività.
(commento apparso in forma leggermente ridotta su "La Stampa", 11 aprile 2020, col titolo: "La ripartenza passa dalle università").
Quella che si profila all'orizzonte è una crisi economica probabilmente più grave di quella del 2008, forse addirittura paragonabile a quella del '29. Anche nel caso - auspicabile - che si riesca ad evitare uno scenario così fosco, è comunque ragionevole ipotizzare che molte cose cambieranno e non solo in ambito economico. Esattamente quali saranno i cambiamenti naturalmente non lo sa ancora nessuno, si possono solo fare degli scenari. Come in tutte le crisi, infatti, ci saranno - anzi, sono già iniziate - scontri e negoziati, anche feroci, per dare forma al futuro, scontri e negoziati il cui esito è ancora molto aperto.
E' però possibile dare per ragionevolmente probabili alcuni sviluppi, tra cui i seguenti:
- le catene di produzione si accorceranno sensibilmente;
- si identificheranno beni e servizi ritenuti essenziali, che torneranno ad essere assicurati a livello nazionale (o addirittura locale);
- i mercati interni aumenteranno di importanza, riducendo l'enfasi posta (soprattutto in Europa) sulle esportazioni;
- in Italia torneremo a investire nella sanità pubblica, che comunque cambierà a valle della terribile prova che sta sostenendo;
- anche il Welfare cambierà, sia nell'immediato, sia a regime;
- gli spostamenti internazionali di persone si ridurranno sensibilmente, per cui crescerà di importanza - psicologica oltre che materiale - la dimensione nazionale;
- il "grande gioco" internazionale tra aree geopolitiche aumenterà di intensità;
- il ruolo dello Stato in molti settori, inclusa l'economia, crescerà, anche non sappiamo ancora né con quale intensità, né con quali modalità.
Riguardo al mondo dell'istruzione è evidente che il grande esperimento forzato di insegnamento online di queste settimane lascerà tracce importanti anche dopo l'emergenza. Ciò è positivo a patto che nel dare forma al futuro si faccia tesoro degli studi di questi ultimi dieci anni che hanno dimostrato l'importanza del rapporto interpersonale tra docente e studente per assicurare buoni livelli di successo educativo. Un digitale, quindi, non sostitutivo (se non in emergenza), ma - salvaguardata la salute - utile strumento a disposizione dei docenti per aumentare ulteriormente l'efficacia della loro azione in presenza.
A parte il digitale e focalizzandoci sulle Università, se gli scenari sopra tratteggiati si realizzeranno anche solo in parte si profila un'Università che, pur rimanendo ben connessa con la comunità internazionale, diventa più attenta di quanto non fosse già in passato alle priorità nazionali. In particolare vorrei portare l'attenzione sulla assai probabile (e auspicabile) decisione di far crescere il mercato interno per compensare la diminuzione delle esportazioni. Se ciò effettivamente capitasse, tale cambiamento potrebbe rappresentare, oltre al resto, un'opportunità non solo per recuperare quella porzione della base manufatturiera che abbiamo perso negli ultimi 20 anni, ma anche per alzare il livello tecnologico e organizzativo medio del tessuto produttivo italiano. In tal caso le Università svolgerebbero un ruolo essenziale non solo perché fornirebbero i laureati necessari per realizzare tale salto di qualità, ma anche perché, se sostenute da politiche adeguate, potrebbero contribuire direttamente intensificando le collaborazioni con le imprese.
In ogni caso le Università non devono solo seguire gli sviluppi e prepararsi di conseguenza, ma anche contribuire direttamente a dare forma al mondo che sta nascendo da questa crisi partecipando alle discussioni, realizzando studi, prospettando soluzioni creative alle sfide di questa crisi senza precedenti. Lo devono fare sforzandosi di rappresentare gli interessi della maggioranza degli italiani e con l'obiettivo di creare le condizioni per aumentare ulteriormente il loro contributo al benessere culturale, materiale e civile della collettività.
(commento apparso in forma leggermente ridotta su "La Stampa", 11 aprile 2020, col titolo: "La ripartenza passa dalle università").