"La frontiera politica dello smartphone"
Il Manifesto, 27 agosto 2024 (pp. 1 e 3)
L’arresto in Francia del fondatore di Telegram sta provocando forti reazioni, anche a livello politico. Come però già in casi precedenti, basti pensare alle controversie relative a Facebook o a TikTok, le polemiche contingenti rischiano di oscurare le questioni strutturali di fondo. Si tende a dimenticare, infatti, che le tecnologie della comunicazione sono sempre state cruciali strumenti di potere e quindi sono sempre state – e oggi, più che mai, sono – tecnologie intrinsecamente politiche. Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue varie forme e articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato possedere.
Inoltre, il potere ha sempre desiderato controllare il più possibile il flusso di informazioni che in qualche modo potevano influenzarne l’azione o intaccarne la legittimità. Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto controllare, rese entrambe ancora più intense in periodi di guerra o, comunque, di tensioni politico-sociali.
A queste pulsioni del potere si è cercato di porre argine lottando per stabilire diritti che giustamente consideriamo come le fondamenta del vivere civile: innanzitutto, la libertà di espressione, e poi la libertà di stampa, la libertà di associazione, la segretezza della corrispondenza, la protezione dei dati personali, le norme che regolamentano in maniera rigorosa la sorveglianza degli individui, le norme che impongono trasparenza e responsabilità ai poteri (in primis pubblici, ma non solo).
Chi invoca la metafora della casa di vetro, ovvero, della perfetta trasparenza (delle persone, non certo del potere) perché «tanto i cittadini per bene non hanno nulla da nascondere», adotta – come amava ricordare Stefano Rodotà – un’ideologia nazista, ovvero, totalitaria. Non solo la società democratica, infatti, ma la stessa dignità umana, ha assoluto bisogno di riservatezza, di spazi protetti dall’intrusione da parte di poteri sia pubblici, sia privati. C’è in gioco non solo il libero sviluppo della personalità degli individui, ma anche la necessità di preservare spazi dove le persone possano confrontarsi tra loro, in libertà, per discutere di politica, per organizzarsi per difendere i propri diritti, ecc.
[...]
continua sul sito del Manifesto.
L’arresto in Francia del fondatore di Telegram sta provocando forti reazioni, anche a livello politico. Come però già in casi precedenti, basti pensare alle controversie relative a Facebook o a TikTok, le polemiche contingenti rischiano di oscurare le questioni strutturali di fondo. Si tende a dimenticare, infatti, che le tecnologie della comunicazione sono sempre state cruciali strumenti di potere e quindi sono sempre state – e oggi, più che mai, sono – tecnologie intrinsecamente politiche. Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue varie forme e articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato possedere.
Inoltre, il potere ha sempre desiderato controllare il più possibile il flusso di informazioni che in qualche modo potevano influenzarne l’azione o intaccarne la legittimità. Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto controllare, rese entrambe ancora più intense in periodi di guerra o, comunque, di tensioni politico-sociali.
A queste pulsioni del potere si è cercato di porre argine lottando per stabilire diritti che giustamente consideriamo come le fondamenta del vivere civile: innanzitutto, la libertà di espressione, e poi la libertà di stampa, la libertà di associazione, la segretezza della corrispondenza, la protezione dei dati personali, le norme che regolamentano in maniera rigorosa la sorveglianza degli individui, le norme che impongono trasparenza e responsabilità ai poteri (in primis pubblici, ma non solo).
Chi invoca la metafora della casa di vetro, ovvero, della perfetta trasparenza (delle persone, non certo del potere) perché «tanto i cittadini per bene non hanno nulla da nascondere», adotta – come amava ricordare Stefano Rodotà – un’ideologia nazista, ovvero, totalitaria. Non solo la società democratica, infatti, ma la stessa dignità umana, ha assoluto bisogno di riservatezza, di spazi protetti dall’intrusione da parte di poteri sia pubblici, sia privati. C’è in gioco non solo il libero sviluppo della personalità degli individui, ma anche la necessità di preservare spazi dove le persone possano confrontarsi tra loro, in libertà, per discutere di politica, per organizzarsi per difendere i propri diritti, ecc.
[...]
continua sul sito del Manifesto.
Attachment | Size |
---|---|
Frontiera-politica.jpg | 198.34 KB |