"Elon Musk e l'attacco al cuore della democrazia"
Il Manifesto, 10 novembre 2024 (pp. 1 e 11)
PIATTAFORME Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere, anche molto seriamente, il processo democratico.
Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che, se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera, tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale, esercizio dell’autocritica.
Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di «intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori: certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto importante, dei media tradizionali). E diamo anche per acquisito, per quanto contrario al principio di non interferenza nelle vicende interne altrui, che alcuni Stati stranieri cerchino di influenzare le vicende politiche, incluse quelle elettorali, di altri Paesi: dal momento che l’hanno fatto, e non di rado, non pochi Paesi occidentali (anche tra di loro), sarebbe strano che il gioco non funzionasse anche in senso inverso. In questi casi andrebbe contrastato con gli strumenti previsti dalla legge, e non usato con troppa leggerezza per giustificare i propri insuccessi politici.
[...]
continua sul sito del Manifesto.
PIATTAFORME Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere, anche molto seriamente, il processo democratico.
Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che, se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera, tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale, esercizio dell’autocritica.
Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di «intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori: certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto importante, dei media tradizionali). E diamo anche per acquisito, per quanto contrario al principio di non interferenza nelle vicende interne altrui, che alcuni Stati stranieri cerchino di influenzare le vicende politiche, incluse quelle elettorali, di altri Paesi: dal momento che l’hanno fatto, e non di rado, non pochi Paesi occidentali (anche tra di loro), sarebbe strano che il gioco non funzionasse anche in senso inverso. In questi casi andrebbe contrastato con gli strumenti previsti dalla legge, e non usato con troppa leggerezza per giustificare i propri insuccessi politici.
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