"Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica"

Il 22 settembre è uscito il mio secondo libro dal titolo: "Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica" (ADD Editore), con prefazione di Gustavo Zagrebelsky.
Lo usiamo tutti, nel 2021 ne sono stati venduti circa un miliardo e mezzo. Se in questi anni c’è stata una rivoluzione tecnologica, lo smartphone ne è il simbolo e in questo libro Juan Carlos De Martin affronta la questione da tutti i punti di vista, partendo da un dato di cui pochi colgono la straordinarietà: è necessario. Come è fatto, chi ne gestisce sistema operativo, store e dati, quali sono le conseguenze sociali che lo smartphone ha sul mondo. Ma un modo migliore per usare questa tecnologia c’è: De Martin lo propone nel manifesto finale, dove immagina un mondo in cui l’uomo sia padrone della macchina e possa servirsene con fiducia. Un libro che ci invita a riflettere su una mutazione epocale passata quasi inosservata, con la convinzione che un altro mondo è possibile.

«Non era mai successo nella storia dell’umanità che una macchina diventasse necessaria nella vita quotidiana di miliardi di persone. È arrivato il momento di chiederci cosa stiamo facendo.»

(Eventi e rassegna stampa presenti anche sul sito dell'editore)

INCONTRI PUBBLICI

  • 23 settembre 2023, ore 12:30, Piacenza, Festival del pensare contemporaneo, "Contro lo smartphone", con Stefano Moroni.
  • 28 settembre 2023, ore 18:00, Torino, Libreria Bodoni, via Carlo Alberto 41, con Gustavo Zagrebelsky e Alessandra Quarta.
  • 26 ottobre 2023, ore 18:00, Torino, Circolo dei Lettori, "Contro lo smartphone", con Bruno Ruffilli.
  • 29 ottobre 2023, ore 15:00, Genova, Palazzo Ducale, Festival della Scienza, "Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica".
  • 9 novembre 2023, ore 18:00, Milano, Libreria Hoepli, "Contro lo smartphone", con Andrea Daniele Signorelli.
  • 10 novembre 2023, ore 18:30, Torino, Fondazione Amendola, via Tollegno 52, con Rosita Rijtano e Fabio Malagnino.
  • 1 dicembre 2023, Firenze, Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, Wired Next Fest.
  • 9 dicembre 2023, Roma, "Più liberi più libri", La Nuvola.

INTERVISTE, ARTICOLI, RECENSIONI, RADIO E TV



Candidato a Rettore del Politecnico 2024-2030

Oggi 30 giugno 2023 mi sono dimesso da delegato del Rettore per la cultura e la comunicazione e ho annunciato alle colleghe e ai colleghi del Politecnico che intendo candidarmi a Rettore per il mandato 2024-2030. Sul sito Politecnico Futuro è possibile trovare la mia lettera aperta, il mio invito a contribuire alla elaborazione del programma, il mio libro "Università futura - tra democrazia e bit" e altro ancora. Il motto della mia candidatura è: Mente, cuore, mani (sul sito spiego perché). Testata del sito elettorale di J.C. De Martin

Gli ultimi cinque anni al Politecnico

Cinque anni fa oggi (il 16 marzo 2018) iniziava una parte della mia vita molto impegnativa, e a tratti difficile, ma ricchissima di soddisfazioni. Se cinque anni fa, infatti, qualcuno mi avesse detto che - oltre al resto (che è tanto: moltissimo lavoro, infatti, è stato fatto dietro le quinte e sotto al cofano) - sarebbero nate Biennale Tecnologia, di cui abbiamo già fatto tre edizioni e stiamo già lavorando alla quarta, "Tempi difficili" (edizione 2021, dedicata alla pandemia, ed è iniziata ieri l'edizione 2023, dedicata alla guerra e alla pace), "Cinque libri", "LiberiLibri"; che avremmo avuto un nuovo logo del Politecnico, con corrispondente nuova identità visiva e un nuovo sito web (rifatto da zero per la prima volta in 25 anni); che sarebbe nato il Centro Theseus su tecnologia, umanità e società, con relative assunzioni di umanisti e scienziati sociali; che tutti gli studenti di ingegneria avrebbero seguito un corso "Grandi sfide", co-insegnato da un ingegnere e uno scienziato sociale o umano (con lezioni introduttive di Jeffrey Sachs e Telmo Pievani, tra l'altro liberamente accessibili online), ebbene, probabilmente non ci avrei creduto.
Invece è successo. Naturalmente grazie al sostegno del Rettore Guido Saracco, degli Organi di Governo, di molti colleghi e di una squadra di collaboratori eccezionali.
In ogni caso, però, non è mica finita: manca un anno. E in un anno si possono ancora fare tante cose, per il Politecnico con tutta la sua comunità accademica, per Torino e, perché no, un po' per tutti. Incontro pubblico per l'inizio del mandato del Rettore Guido Saracco 16 marzo 2018

La tecnologia per capire l'Umanità ("La Stampa")

La tecnologia è ovunque. La indossiamo, la usiamo per spostarci, per scaldarci, per nutrirci e per mille altre attività. Non solo: viviamo letteralmente dentro alla tecnologia. E’ infatti artificiale l’ambiente in cui spendiamo gran parte della nostra vita, a casa, al lavoro, in città.

Forse per questa sua onnipresenza molte persone ormai considerano la tecnologia come una sorta di natura, qualcosa di cui si prende passivamente atto, così come si prende atto di un temporale o di un monte.

Tuttavia pensare alla tecnologia in questo modo è un problema, innanzitutto culturale, ma non solo culturale: pensare alla tecnologia come se fosse “natura”, infatti, ci impedisce di capirla davvero, con ricadute molto concrete anche in ambito economico e persino nei rapporti internazionali.

La tecnologia, infatti, non è “data”. Al contrario, la tecnologia è costituita da ciò che, non esistendo in natura, viene portato in esistenza grazie allo sforzo deliberato di una persona, nel caso più semplice dell’artigiano o dell’artista, o di molte migliaia di persone nel caso delle tecnologie più avanzate. Quindi la tecnologia è umanità, come recita il motto di Biennale Tecnologia, la grande manifestazione culturale organizzata dal Politecnico che inizia oggi, nel senso che la tecnologia è sognata, progettata e realizzata da esseri umani per obiettivi – nobili, banali o atroci che siano – strettamente umani.

Per questo motivo se guardassimo la tecnologia con occhi consapevoli, ci dovremmo vedere riflessi noi stessi. Tranne casi particolari non personalmente noi stessi, ma certamente gli esseri umani che da qualche parte nel mondo hanno scavato la terra per tirare fuori i minerali necessari, che hanno ideato, progettato e prodotto i componenti, che hanno assemblato e dato forma al tutto, che l’hanno trasportato magari all’altro capo del mondo, che l’hanno venduto e che infine l’hanno smaltito.

Allo stesso modo se guardassimo la tecnologia con occhi consapevoli ci vedremmo dentro anche il nostro pianeta: le miniere da cui sono usciti i materiali, i pozzi petrolifere o le pale eoliche che hanno prodotto l’energia, le fabbriche che hanno raffinato e prodotto, le discariche che hanno smaltito, le conseguenze di tutto questo sui fiumi, i mari, la vegetazione, la fauna, l’atmosfera.

Infine se guardassimo alla tecnologia con occhi consapevoli ci vedremmo riflesse le conseguenze della tecnologia - positive e negative, banali o importanti che siano - sui bambini e sugli anziani, sui poveri e sui benestanti, sulla democrazia e sui rapporti personali, sulla salute fisica e mentale, sulla guerra e sulla pace, sul progresso o sul degrado morale dell’umanità, sul “Sud” e sul “Nord” del mondo.

Da oggi fino a domenica sera Biennale Tecnologia offrirà, dunque, proprio questo ai suoi visitatori: li aiuterà a vedere in ogni oggetto tecnologico - semplice o complesso che sia - un sorta di prisma da cui si irradiano mille raggi, in mille direzioni diverse.

Apparso su "La Stampa", edizione di Torino, giovedì 10 novembre 2022, p. 39 + 51.

Perché Biennale Tecnologia ("Robinson - La Repubblica")

La cultura è una. Non due, tre o addirittura quattro. Esistono varie forme di sapere, questo sì. Ma la cultura è costituita dall’intrecciarsi, dal compenetrarsi dei vari saperi, dal confronto. Un confronto certamente consapevole degli statuti epistemologici dei singoli saperi, con i loro punti di forza e i loro punti ciechi, ma comunque un confronto programmaticamente scevro di arroganza, anzi, rispettoso, curioso, umile (nel senso di attaccato al suolo, all’humus).

È a partire da queste premesse che il Politecnico di Torino idea, progetta e organizza, con l’importante contributo di molti partner, Biennale Tecnologia, la manifestazione culturale che dal 2020 si alterna all’altra grande biennale torinese, Biennale Democrazia, che fin dal 2009 promuove, nel ricordo di Norberto Bobbio, una riflessione interdisciplinare sui temi della politica.

Il primo obiettivo di Biennale Tecnologia è quello di realizzare una manifestazione culturale che offra – su grande scala – un dialogo paritario e inclusivo tra saperi. Ingegneria, architettura e le altre discipline tradizionalmente politecniche in dialogo con le scienze naturali, le scienze umane e sociali e le arti, impiegando un ampio spettro di modalità, dalla lezione magistrale al dibattito, dallo spettacolo teatrale alla mostra, dal concerto alla proiezione cinematografica e alla lettura poetica.

Il secondo obiettivo riguarda il tema della manifestazione, ovvero, la tecnologia. L’intenzione non è solo quella – pur cruciale – di condividere sapere tecnologico; c’è anche un altro obiettivo, non meno importante, ovvero, quello di promuovere un modo diverso di pensare alla tecnologia. Diverso sia dal modo di pensare alla tecnologia di molti “tecnici”, sia dal modo con cui pensano alla tecnologia la maggior parte delle altre persone. Il senso comune relativo alla tecnologia, infatti, è infestato di luoghi comuni, di ingenuità e di mistificazioni, col risultato che la capacità della collettività – élite incluse – di pensare in maniera realistica alla tecnologia è spesso molto debole. Debole – in estrema sintesi - perché i tecnici raramente sono consapevoli della natura socio-politica della tecnologia, che considerano, a torto, “neutra” nonché per definizione sinonimo di “progresso”, e debole perché molti non tecnici pensano che la tecnica si riduca a meri strumenti, non di rado negativi e comunque tendenzialmente indegni di attenzione intellettuale o politica. È una debolezza generalizzata che, oltre a rappresentare un serio limite culturale, produce problemi rilevanti per la democrazia, per la vita economica, e persino per i rapporti internazionali.

Per rimediare a una debolezza cognitiva così radicata e diffusa la via maestra è il dialogo tra saperi. È solo gettando luce da diverse angolature, infatti, che è possibile superare gli stereotipi e avvicinarsi - forando la corazza prodotta dalla consuetudine - all’essenza della tecnologia.

È importante farlo nel mondo della formazione e della ricerca, e il Politecnico si è attivato anche in questa direzione, facendo seguire a tutti gli studenti di ingegneria un insegnamento interdisciplinare chiamato “Grandi sfide” e istituendo il centro studi Theseus su tecnologia, umanità e società.

Ed è ovviamente importante farlo con iniziative rivolte al grande pubblico, come appunto Biennale Tecnologia, il cui motto, fin dalla prima edizione, è, non a caso: “Tecnologia e/è umanità”.

Dopo la prima edizione del 2019, per celebrare i 160 del Politecnico e inaugurata da Joseph Stiglitz, e l’edizione 2020, tenutasi interamente online causa COVID-19, dal titolo: “Mutazioni – per un futuro sostenibile” - siamo ora giunti alla terza edizione. Dal 10 al 13 novembre, infatti, Biennale Tecnologia torna in presenza a Torino col titolo: “Princìpi – Costruire per le generazioni”. L’inaugurazione del 10 novembre si aprirà con una lezione magistrale di Nicholas Nassim Taleb, il celebre studioso de “Il cigno nero” e “Antifragile”, e poi in serata alle OGR la prima assoluta di uno spettacolo teatrale di Marco Paolini e Telmo Pievani dal titolo: “Gli Antenati della Fabbrica del Mondo”.

Come titolo di Biennale Tecnologia abbiamo scelto “Princìpi” perché ci è sembrata una parola particolarmente utile, coi suoi molti significati, per affrontare le grandi complessità di questo periodo storico: princìpi fondativi nel senso delle fondamenta concettuali, metodologiche o fattuali di una disciplina, di una scienza o di una dottrina; princìpi nel senso specifico, ma suggestivo dei principi attivi di una sostanza; princìpi nel senso di avviare, di intraprendere; princìpi nel senso di norme morali o valori etici. E come sottotitolo abbiamo scelto “costruire per le generazioni” sia perché fare tecnologia significa portare in esistenza qualcosa che non esiste in natura, sia perché forse mai come ora l’idea stessa di generazioni future è in pericolo, minacciata non solo dal disastro ambientale, ma anche dal rinato spettro della guerra nucleare.

Negli oltre 150 incontri di Biennale Tecnologia 2022, negli spettacoli, nelle mostre, nei concerti, nelle proiezioni cinematografiche (inclusa la Notte Miyazaki alla Mole Antonelliana) penseremo al digitale, all’energia, ai trasporti, all’architettura, allo spazio, alle infrastrutture e a molti altri temi tecnologici facendo dialogare ingegneri, architetti e designer con filosofi, sociologi, economisti, fotografi, scrittori, archeologi, antropologi, storici e molti altri portatori di varie forme di sapere. Tutti invitati a Torino per provare a sviluppare un pensiero all’altezza del momento storico, con l’obiettivo primario di provare a capire che cosa possiamo concretamente fare per assicurare che siano ancora molte le generazioni che daranno seguito alle 4.000 generazioni di homo sapiens che hanno finora calcato l’humus di questa nostra terra.

Apparso con piccole modifiche su "Robinson" de "La Repubblica", sabato 5 novembre 2022, col titolo: "La cultura si parla", p. 27

LA SFIDA GEOPOLITICA (dal libro "Università futura", 2017)

Nel dicembre 1991 finiva l’esperienza dell’Unione Sovietica. Dopo quasi cinquant’anni terminava, dunque, la contrapposizione tra due superpotenze, gli USA e l’URSS, che si erano divise il mondo in zone di influenza ispirate a sistemi economico politici contrapposti: democrazia liberale e capitalismo da una parte, socialismo reale dall’altra.

Il ventesimo secolo, noto come il “secolo americano”, si chiudeva con una schiacciante vittoria degli Stati Uniti contro il nemico storico e il mondo entrava quindi in una nuova fase, dominata da un’unica superpotenza e sostanzialmente da un unico modello economico.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e della relativa zona di influenza, centinaia di milioni di lavoratori entravano nel mercato del lavoro globale, decine di paesi si aprivano sia per ricevere prodotti dall’estero sia per esportare merci e materie prime, il tutto all’insegna di una globalizzazione sempre più spinta, soprattutto in ambito finanziario.

Proprio mentre l’Unione Sovietica si disintegrava, diventava macroscopicamente evidente un altro processo di enorme importanza, ovvero il decollo economico della Cina. A partire dalle riforme introdotte da Deng Xiao Ping nel 1978, nell’arco di trent’anni la Cina si era trasformata da paese prevalentemente agricolo a fabbrica del mondo. L’intensa crescita economica – che dal 1992 al 2016 oscilla tra il 6% e il 15% – inevitabilmente solleva la questione della sua crescente potenza. Una potenza che si proietta soprattutto economicamente – con un numero maggiore di accordi bilaterali soprattutto in Africa e in America Latina – ma che inevitabilmente inizia ad assumere anche una dimensione politica e militare. Con la crescita della Cina – e, in misura minore, di Brasile, Russia, India e Sud Africa, i cosiddetti BRICS – si inizia anche a parlare di possibile fine del “secolo americano” e, comunque, di declino americano. Anche chi ritiene che l’egemonia statunitense durerà probabilmente ancora numerosi decenni, come Joseph Nye nel suo recente libro Fine del secolo americano?, non può però non porsi il problema di quale sarà il nuovo assetto mondiale a regime. Andiamo forse verso alcune grandi zone di influenza in concorrenza tra di loro per le risorse del pianeta, un mondo multipolare? O la Cina alla lunga emergerà effettivamente come nuova superpotenza al posto degli Stati Uniti? Negli ultimi cento anni, ogni cambio di assetto a livello mondiale ha prodotto devastanti guerre mondiali: questa volta riusciremo a evitare traumi di quella magnitudo? Che cosa si può fare concretamente – a vari livelli – per mitigare il rischio che scoppi una guerra per l’egemonia mondiale?

Per l’Europa la situazione è particolarmente difficile. Non solo per la crisi sempre più evidente dell’Unione Europea – scossa dalle fondamenta dalle contraddizioni dell’euro, dalle conseguenze del referendum sulla Brexit del Regno Unito, dalla crisi dei migranti – ma anche per la situazione ai suoi confini. Dall’Ucraina a est alla Libia a sud, passando per il Medio Oriente, l’Europa confina con guerre civili più o meno aperte (Ucraina), autoritarismi (Turchia), guerre spaventose (Siria), conflitti storici ormai incancreniti (Israele-Palestina), dittature (Egitto) e Stati falliti (Libia). Cinquemila chilometri di conflitti con alle spalle una seconda cerchia di situazioni di crisi – Mali, Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Pakistan – tutte terre da cui partono i disperati che provano a raggiungere l’Europa con ogni mezzo.

Il tutto nel contesto di una rinnovata tensione tra Stati Uniti e la Russia di Putin. Dimenticato, infatti, il disgelo di inizio secolo, quando Putin incontrava George W. Bush nel suo ranch e si parlava persino di un possibile ingresso della Russia nella NATO, ora la Russia è tornata a essere – se non il nemico dei tempi della guerra fredda – certamente un avversario importante105. L’Europa, e in particolare la Germania (ma con un ruolo non trascurabile anche dell’Italia), dopo essere stata tentata da un asse politico commerciale che, includendo la Russia, poteva arrivare fin sulle sponde del mar del Giappone (magari comprendendo, a certe condizioni, anche la Cina), si scontra ora – come non era difficile aspettarsi106 – contro un nuovo Muro, collocato mille chilometri più a Est di quello di Berlino (nonostante le rassicurazioni americane che ciò non sarebbe mai successo107), rafforzato dalle sanzioni contro la Russia per la vicenda Ucraina e da un progressivo riarmamento della NATO. Il risultato è stato finora un rimbalzo sull’Atlantico, un consolidarsi dell’integrazione tra Stati Uniti ed Europa108 che sembra prefigurare una delle zolle geopolitiche verso cui pare avviarsi l’organizzazione del mondo sotto la spinta congiunta di forze politiche, militari, economiche, culturali, climatiche e demografiche, anche se la recente elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti apre una fase di grande imprevedibilità.

Infine ci sono le tensioni che attraversano i paesi a prevalenza musulmana, in particolare nel Nord Africa e nel Medio Oriente, situazioni complesse, caratterizzate da specificità nazionali molto forti, quindi difficili da ricondurre a un minimo comun denominatore che non sia, da una parte, l’ombra lunga del passato coloniale e, dall’altra, le ancora forti ingerenze dei paesi occidentali, come evidenziato dal tragico caso della Libia. Tensioni che contribuiscono a creare un terreno favorevole a fenomeni come Al Qaeda e ISIS, con propaggini terroristiche anche sul suolo europeo.

In questo scenario – è importante rimarcarlo – non c’è nulla di inevitabile. Ci sono certamente delle tendenze di fondo, dettate dalle forze in campo, dalla situazione socio economica e da chi è attualmente al potere nei principali paesi, ma nessun destino ineluttabile. La sfida geopolitica è, quindi, quella di immaginare e studiare i pro e i contro delle tendenze in atto e le alternative possibili, con l’obiettivo assolutamente primario di promuovere la pace.

Tratto da J.C. De Martin, "Università futura - tra democrazia e bit", Codice Edizioni, 2017, pp. 35-38 (nell'originale sono presenti le note al testo qui sopra riportato); il volume, oltre che regolarmente acquistabile, è anche scaricabile con licenza Creative Commons da questo sito.

6 Novembre 2019

Due anni fa a quest’ora eravamo alla vigilia del Festival della Tecnologia, il cui sottotitolo era: "Tecnologia e/è umanità”. Il 7 novembre 2019, infatti, avremmo inaugurato la grande festa per i 160 anni del Politecnico con una lectio magistralis del grandissimo Joseph E. Stiglitz, a cui sarebbero seguiti 3 giorni intensissimi di incontri (circa 160), spettacoli, mostre, concerti, laboratori per bambini, ecc. , organizzati insieme a decine di partner.

In quel 6 novembre 2019 non eravamo affatto sicuri che il grande pubblico (a partire dai nostri studenti) sarebbe stato attratto da un tema come tecnologia e società... Sarebbero venuti? Anche il sabato e la domenica mattina? Ovviamente speravamo di sì, ma non ne eravamo affatto sicuri. Abbiamo quindi rischiato.

La risposta del pubblico alla nostra proposta fu nientemeno che eccezionale. Commovente. 50.000 persone di tutti i tipi (tra cui migliaia di nostri studenti), infatti, varcarono la soglia del Politecnico per affollare gli incontri del Festival, moltissimi dei quali tutti esauriti.

Un successo così emozionante, quello del Festival della Tecnologia, da indurre tutti a chiedere al Politecnico di farlo diventare un appuntamento ricorrente. Nasceva così Biennale Tecnologia, la manifestazione sorella di Biennale Democrazia (nata nel 2009), con cui si sarebbe alternata negli anni pari mantenendo lo stesso sottotitolo del Festival, ovvero: "Tecnologia e/è umanità".

La prima edizione di Biennale Tecnologia la tenemmo - ahimé, tutta online - un anno fa e ora siamo già al lavoro con l'amico Luca De Biase per la seconda edizione, che si terrà a metà novembre 2022.

Ma tutto nacque da quella scommessa vinta due anni fa, che dimostrò come nel pubblico ci fosse un’enorme richiesta insoddisfatta di ragionamenti accessibili, ma seri sul rapporto tra tecnologia e società, tecnologia e ambiente, tecnologia e vita personale, tecnologia e arte, ecc.

Un’esperienza memorabile, quella del Festival della Tecnologia del 2019, ben catturata da questo breve video:



Un’esperienza che speriamo di replicare, con pari entusiasmo e con successo se possibile ancora maggiore, tra un anno esatto.

LE MACCHINE DIGITALI MI INTERESSANO*


(Dedicato a Philippe)


Gli umani agiscono.

Alcune delle loro azioni – come parlare, cantare, ballare, ecc. – non lasciano alcun artefatto materiale.

Alcune delle loro azioni modellano atomi per portare in esistenza cose belle.

Alcune delle loro azioni modellano atomi per portare in esistenza cose che aiutano gli umani nella loro relazione col mondo spirituale.

Alcune delle loro azioni modellano atomi per portare in esistenza cose utili.

Tra le cose utili ci sono le macchine digitali.

Le macchine digitali sono sempre più coinvolte sia nelle azioni umane che non producono artefatti, sia nelle azioni umane che portano in esistenza cose belle, spirituali e utili.

Le macchine digitali sono sempre più incorporate in cose belle, spirituali e utili, ibridandole, trasformandole in cyborg-cose.

Le macchine digitali sono sempre più fisicamente attaccate ai corpi degli umani, monitorando il loro stato organico e l'ambiente in cui sono immerse, influenzando il comportamento umano.

Le macchine digitali modellano – come altre tecnologie in passato, ma probabilmente con più pervasività e più intimità – ciò che gli esseri umani percepiscono, pensano e sentono.

Le macchine digitali stanno sempre più mediando il rapporto tra ogni essere umano e il resto del mondo.

Le macchine digitali, per la maggior parte, non sono governate collettivamente: la maggior parte degli umani, infatti, si limita ad utilizzare (e viene utilizzata) da macchine progettate e controllate da pochi.
Gli stessi pochi che possiedono e utilizzano le macchine digitali più potenti sulla Terra.
Gli stessi pochi che utilizzano, e spesso possiedono, i dati prodotti dai molti.

Come nascono le macchine digitali mi interessa. Chi decide di produrle, chi le progetta, quali elementi sono coinvolti nella produzione, chi produce tali elementi e in quali condizioni, chi fisicamente costruisce, trasporta, vende e ripara macchine digitali, e in quali condizioni, mi interessa.

Quello che succede quando le macchine digitali smettono di essere utili mi interessa.

Quello che fanno le macchine digitali mi interessa. Quello che fanno, ma anche come, perché, a che prezzo, per chi, contro chi lo fanno mi interessa.

Quello che gli umani fanno con le macchine digitali mi interessa. Perché, come, a quali condizioni, con quali conseguenze fanno quel che fanno mi interessa. Quello che gli umani vorrebbero fare con le macchine digitali, ma al momento non possono, mi interessa in modo particolare.

Quello che potrebbero fare le macchine digitali mi interessa moltissimo. Quello che le macchine digitali potrebbero fare diversamente, o non fare affatto. Quello che le macchine digitali non hanno mai fatto, ma che potrebbero fare – almeno in linea di principio – per l'umanità e il pianeta.


* Questo testo è anche apparso su "Il Sole 24 ore" di domenica 10 ottobre 2021, p. 14, col titolo: "Macchine digitali ubique: come contribuiscono al domani"..

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