Università e rifugiati
Ultimo aggiornamento: 6 ottobre 2015
Ecco una prima rassegna, sicuramente parziale, delle iniziative da parte di università europee (e non solo) a favore dei rifugiati. Eventuali ulteriori segnalazioni sarebbero ovviamente benvenute!
--jc
Articolo sul tema: http://www.universityworldnews.com/article.php?story=20150918113842639
FRANCIA
Editoriale: http://www.liberation.fr/debats/2015/09/12/pour-l-accueil-des-refugies-dans-les-universites_1380431
Call from presidents of all French universities:
"Solidarietà - una parola che ritorna"

(Recensione apparsa sull'edizione nazionale de "La Stampa" del 19 dicembre 2014, p. 33).
"Convivere col calcolatore"
Su tecnologia e istruzione
A ostacolare sul serio la rivoluzione non è stata né la resistenza corporativa degli insegnanti, né il conservatorismo di molti genitori, né l'incapacità dei Ministri di capire il nuovo che avanza. Più banalmente finora ogni nuova tecnologia si è dimostrata complessivamente inadatta a rimpiazzare il rapporto docente-studenti. Un rapporto che include la capacità di motivare ogni studente singolarmente, di capire da un viso sciupato l'esistenza di problemi extra-scolastici, di dedurre da un sguardo sperso la necessità di spiegare di nuovo e tutte le altre situazioni che si creano quando un numero limitato di esseri umani condivide uno spazio fisico per imparare insieme.
E' dunque corretto concludere che la tecnologia non avrà mai posto nelle classi? Ovviamente no.
Innanzitutto perché in questi decenni la tecnologia si è comunque conquistata un ruolo educativo significativo, basti pensare all'uso della televisione da parte dell'Open University britannica (e non solo), alle lavagne multimediali o ai documentari. Ma soprattutto perché non è possibile predire il futuro: ogni nuova tecnologia andrà valutata senza pregiudizi, soppensando vantaggi e svantaggi, come raccomandava di fare, nel già citato "Fedro" di Platone, il faraone Thamus.
Ciò vale anche per l'ondata tecnologica digitale. Anche questa ondata produce, come le precedenti, i suoi rivoluzionari, persone che - spesso ignare della storia - sembrano genuinamente stupite che le classi somiglino ancora a quelle di cento anni fa.
Ricordiamo allora i fondamentali.
Innanzitutto, la tecnologia è un mezzo e non un fine. In altre parole è razionale adottare una tecnologia solo se permette di raggiungere meglio determinati obiettivi educativi. Ciò richiede analisi costi-benefici basate su dati empirici: gli slogan non bastano.
In secondo luogo, dopo oltre due secoli di esperimenti educativi, il modello tradizionale impostato su docente e studenti in presenza fisica deve essere trattato con rispetto. Non perché tale modello sia perfetto (non lo è) o perché non sia possibile pensare ad alternative (ne sono state sperimentate miriadi), ma perché tale modello ha dato ragionevole prova di sé con centinaia di milioni (miliardi?) di studenti e milioni di insegnanti, nell'arco di numerose generazioni e in contesti sociali, economici e politici molto diversi tra loro. Non è poco.
Di conseguenza, è razionale concentrarsi, più che su scenari rivoluzionari, sui punti deboli del sistema attuale, per capire - con la fondamentale collaborazione dei docenti - se il digitale può offrire strumenti per affrontarli.
In tal senso, due aspetti mi sembrano particolarmente promettenti: efficacia e inclusione.
Efficacia perché ci sono argomenti che potrebbero essere affrontati con migliori risultati se alla parola venissero affiancati nuovi strumenti basati (anche) sulle immagini. In maniera limitata si fa già da decenni con i video educativi, ma il digitale - grazie a grafici interattivi, simulazioni, video giochi, ecc. - potrebbe rappresentare, con opportuni investimenti (che però non dovrebbero andare a scapito di aspetti che la ricerca ha identificato come più importanti, tra cui l'adeguatezza delle aule, la numerosità delle classi o la preparazione degli insegnanti), un importante salto di qualità rispetto al passato.
Inclusione perché il digitale facilita (divario digitale permettendo) il coinvolgimento di coloro che fanno difficoltà - per motivi di salute, di lavoro o geografici - a frequentare un'aula. In parte la televisione lo fa già da 40 anni, ma il digitale può farlo in maniera più capillare, più flessibile e, soprattutto, più interattiva. Il beneficio sociale di questa sola dimensione potrebbe già essere enorme.
Ma c'è anche un secondo relativo all'inclusione: grazie alla Rete, infatti, è ora più facile trovare modi diversi di presentare un argomento, spesso anche con media diversi (testi, video, audio, grafici, fumetti). In questo modo aumenta la probabilità che lo studente riesca a trovare - da solo, in contatto con suoi pari o con l'aiuto di un docente - una versione particolarmente adatta al suo modo di imparare. Così potrebbe sia aumentare la qualità dell'apprendimento, sia diminuire il numero di studenti - non pochi - che, scoraggiati dall'approccio tradizionale, finiscono col perdersi per strada.
Rivoluzione, dunque? Non credo. Ma c'è di sicuro il potenziale per evoluzioni importanti: si tratta di pensarle e poi di sperimentarle con pazienza e rigore. Non è poco.
Articolo apparso originariamente su "La Stampa" del 3 maggio 2014, Speciale Salone del Libro, p. VI.
Horizon2020: A great leap forward for Open Access
From the Horizon2020 Model Grant Agreement:
E' chiara la differenza?
Una parabola italiana
Logico - ma in Italia non funziona così.
In Italia plotoni di opinionisti, consulenti, funzionari e politici discettano imperterriti delle prestazioni del ragazzino debilitato come se nulla fosse, come se fosse un ragazzone pieno di muscoli. E se l'ingenuo della situazione fa timidamente notare che il ragazzino è pelle e ossa, gli rispondono con un sospiro infastidito: "Vabbè, ma a parte quello...". Oppure: "E' vero, lo riconosciamo, mangia solo un tozzo di pane al giorno; ma lo mangia in maniera inefficiente, sprecando un sacco di briciole. Che pensi a mangiare in maniera più efficiente le risorse esistenti e poi, solo poi si potrà discutere - austerità permettendo - di passare a 1.1 tozzi di pane al giorno...".
Ma c'è dell'altro.
In Italia il ragazzino debilitato, per qualche prodigioso motivo, riesce comunque a correre i 400 metri piani arrivando appena dietro ai ragazzoni pieni di muscoli francesi e tedeschi.... Ciò gli procura forse medaglie, prime pagine sui giornali, apprezzamenti e magari anche una mela, oltre al tozzo di pane? Ma neanche per idea. Gli si rinfaccia che è arrivato mezzo secondo dietro ai primi. Gli si rinfaccia che nella sua catapecchia non riesce ad attrarre abbastanza ragazzoni dalla Finlandia o dall'Olanda, guarda caso scarsamente interessati a catapecchie e tozzi di pane. Gli si rinfaccia che non è abbastanza servizievole nei confronti dei ricconi che ogni tanto passano sul marciapiede davanti a lui: se lo fosse, magari ogni tanto gli tirerebbero una moneta. E così via.
Strano paese, l'Italia. Un paese che ha abolito la logica. Un paese dove l'ipocrisia e la malafede hanno davvero troppo spazio.
Scritto pensando soprattutto alla ricerca e all'università italiane. Di cui, sia chiaro, conosco benissimo i difetti e i limiti, che è un dovere combattere. Ma ciò non toglie che la parabola sia in larga parte valida, secondo me.
Democrazia (debole) e Internet
Si parla del ruolo di Internet in politica da numerosi anni, ma in questi ultimi mesi il dibattito si è fatto particolarmente accesso. Da una parte c'è chi prospetta, come il Movimento Cinque Stelle, una democrazia elettronica diretta, con la riduzione del ruolo dei parlamentari a quello di semplici esecutori (anche se non è chiaro, oltre al resto, della volontà di chi). Dall'altra c'è chi difende la democrazia rappresentativa così come l'abbiamo conosciuta in questi ultimi decenni in Italia, partiti inclusi, ritenendolo, pur coi suoi difetti, il migliore dei sistemi possibili.
Sull'attualità di Bobbio
Il comunismo storico è fallito. Ma la sfida che esso aveva lanciato è rimasta. Se per consolarci, andiamo dicendo che in questa parte del mondo abbiamo dato vita alla società dei due terzi, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla maggior parte dei paesi ove la società dei due terzi, o addirittura dei quattro quinti o dei nove decimi, è quell’altra. Di fronte a questa realtà, la distinzione fra la destra e la sinistra, per la quale l’ideale dell’eguaglianza è sempre stato la stella polare cui ha guardato e continua a guardare, è nettissima. Basta spostare lo sguardo dalla questione sociale all’interno dei singoli stati, da cui nacque la sinistra nel secolo scorso, alla questione sociale internazionale, per rendersi conto che la sinistra non solo non ha compiuto il proprio cammino ma lo ha appena cominciato.Forse la miglior risposta ai moltissimi che vanno ripetendo di "essere oltre destra e sinistra", o che "le distinzioni destra-sinistra sono superate".
"Destra e sinistra", Donzelli, 1994, pp. 85-86.