E' sorprendente come bastino pochi mesi per cambiare lo scenario politico e culturale. Oggi l'Assembla Nazionale francese, ha infatti approvato, con una risicata maggioranza e in mezzo a innumerevoli polemiche (incluso persino un
HADOPIGATE), la controversa
legge HADOPI. Ma tale approvazione, invece di rappresentare il trionfo della linea politica fortissimamente voluta dal Presidente Sarkozy (che pare abbia dichiarato di volere l'approvazione della legge "a qualsiasi costo"), sembra solo figlia di un passato che non si è ancora accorto di essere morto e che, però, morendo rischia di fare ancora molti danni.
Mi ricordo, infatti, come ancora a fine ottobre 2008, a Roma, durate gli Stati Generali del Cinema, l'approccio à la Sarkozy avesse un'aura di forza, di vitalità: niente "far west", niente "furti", no ai "pirati", sì alla "risposta graduata" (termine peraltro preso a prestito dal gergo militare della Guerra Fredda), ovvero un insieme di parole attentamente scelte per suggerire un accattivamente mix di fermezza e di ragionevolezza.
Peccato che questo mix messo insieme dagli spin doctor di alcune industrie dei contenuti trascurasse e trascuri alcuni fatti cruciali, due dei quali per me fondamentali.
Il primo è che l'accesso a Internet è, nel 2009, un pre-requisito per
l'esercizio di diritti umani fondamentali, come peraltro affermato ripetutamente, e con maggioranze schiaccianti, dal Parlamento Europeo nei mesi scorsi. Negare,
sulla base di un semplice sospetto e per via amministrativa, l'accesso a portali didattici, a servizi medici, a siti di informazione, a contatti con amici e parenti, a servizi di pagamento, a forme di associazionismo e di partecipazione politica, eccetera, genera un danno al cittadino che è impensabile che non venga comminato, con tutte le garanzie del caso, dal potere giudiziario.
Il secondo fatto è che
esistono modalità alternative allo status quo per sostenere economicamente gli autori. Non è quindi assolutamente vero che o si sbattono fuori i pirati o gli artisti moriranno di fame (come se adesso, peraltro, l'artista medio sguazzasse nell'oro... ma questo è un altro discorso, che magari faremo un'altra volta). Sono ormai anni, infatti, che da diverse parti si ricorda che ogni volta che un nuovo media entra sulla scena - si pensi alla radio o alla televisione - la soluzione al problema della diffusione dei contenuti sono
licenze collettive, non il carcere per i "pirati", che peraltro sono spesso dispostissimi a pagare, purchè a condizioni ragionevoli. Col benefit aggiuntivo che rispetto agli anni '30 o '50 del secolo scorso oggi è possibile pensare ad "alternative compensation systems" molto più evoluti (ed equi) di quelli messi in atto dalle generazioni precedenti. La bibliografia in materia -incluse proposte aggiornate, dettagliate e concrete - è ormai copiosissima. Ricordo solo il capostipite di questo filone, il prof. William Fisher, del Berkman Center di Harvard, il cui libro
"Promises To Keep" metteva già nel 2004 al centro del dibattito internazionale il tema delle licenze collettive. E ricordo due contributi recentissimi: il libro di Philippe Aigrain,
"Internet & Création" (2009), e l'articolo di Volker Grassmuck,
"The World Is Going Flat(-Rate)" (2009).
Se, quindi, ci stanno davvero a cuore gli artisti, la soluzione per remunerarli ponendo nel contempo le basi, nel pieno rispetto della legge, per un Rinascimento digitale c'è già: basta volerla implementare.
Noi del Centro NEXA su Internet & Società del Politecnico di Torino abbiamo anche mostrato, col position paper
"Creatività remunerata, conoscenza liberata: file sharing e licenze collettive estese", come esista già anche lo specifico strumento giuridico adatto allo scopo, le
licenze collettive estese.
L'approccio à la Sarkozy non è, quindi, a mio avviso, nemmeno lontamente la soluzione che meglio approssima il bene comune: è, infatti, se prendiamo la società della conoscenza sul serio, fuori dal tempo; viola diritti fondamentali dei cittadini, con un impatto non solo civile, ma anche culturale ed economico; e non è assolutamente vero che rappresenti l'unico modo (ne' il modo migliore) per tutelare i diritti economici degli autori.
A meno che, almeno per alcuni, il vero obiettivo, non dichiarato, non sia un altro: quello di creare, col pretesto della pirateria e rendendo complici gli Internet Service Provider, la prima vera struttura di controllo della Rete. Perché tale sarebbe l'infrastruttura tecnica e burocratica necessaria a implementare una legge come l'HADOPI. La Rete: la "più grande invenzione del XX secolo" (Rita Levi Montalcini), l'"utopia realizzata" (Stefano Rodotà). Invenzione che però ha l'antipatica (per alcuni) caratteristica di donare libertà a chi la usa e di mettere in crisi il monopolio informativo, politico e culturale reso possibile dai media tradizionali. Forse quindi non si pecca di eccessiva sospettosità se si mette nel novero delle possibilità il fatto che qualcuno, in Francia ma anche in Italia e altrove, stia attivamente cercando il modo (o i modi) per addomesticare la Rete. In nome della "pirateria", o di quello che sarà il pretesto
du jour tra un mese o tra un anno.