Costruiamo le alternative

Articolo pubblicato da "La Stampa", 18 aprile 2024, p. 24 in occasione dell'inaugurazione di Biennale Tecnologia 2024


L’immaginazione è morta. Può sembrare un’esagerazione, e in parte è anche vero, ma ogni tanto è utile, e forse addirittura necessario esagerare; basta, come diceva Günther Anders, che l’esagerazione vada nella direzione della verità.

L’esagerazione in questo caso è utile per provare a intaccare il sarcofago della rassegnazione che si forma pressoché inevitabilmente quando la nostra capacità di immaginare futuri realmente alternativi si atrofizza.

È quello che è successo in Occidente in questi ultimi decenni, caratterizzati dal dogma del “non c’è alternativa” (sottointeso, al presente). Che si tratti di un dogma è ormai chiaro a tutti, ma è un dogma che si è sempre presentato come il risultato di un’analisi tanto spietata quanto incontrovertibile della realtà. Analisi che prescrive medicine, quasi sempre amare, da imporre a cittadini che, se per caso obiettano, è solo perché sono ignoranti o egoisti, o tutte e due le cose insieme. Se le medicine producono – nonostante progressi tecnologici raccontati come imponenti – precarietà, disoccupazione, scuole e sanità sempre più fragili, povertà crescente, ecc., ci si dice dispiaciuti, ma tutte le medicine hanno controindicazioni, e quindi bisogna continuare a somministrarle, anzi, la dose, se possibile, va aumentata.

In questi ultimi tempi, poi, circola una versione del dogma persino peggiore della precedente, e non di poco, ovvero: «Fino a oggi siete stati dei privilegiati: da adesso in avanti non c’è alternativa al peggioramento». Peggioramento tipicamente dovuto a un futuro di guerre e di violenze dato per inevitabile (e a volte, sembrerebbe, quasi auspicato), o, in altra direzione, alle conseguenze apocalittiche dovute al riscaldamento del pianeta.

Di fronte a prospettive plumbee di questo genere, come non cedere, soprattutto se si è giovani, alla rassegnazione, o addirittura alla disperazione? E in effetti sono anni che gli studi e i sondaggi ci restituiscono un quadro molto preoccupante dello stato mentale e, più in generale, dello stato d’animo delle popolazione dei paesi occidentali. La depressione affligge milioni di persone, l’uso di psicofarmaci è diventato molto comune e, se interrogati in merito al futuro, la maggioranza dei cittadini europei e statunitensi risponde che negli anni a venire si aspetta di vivere peggio o, nelle migliori delle ipotesi, di restare nelle spesso tristi condizioni attuali. Non stupisce che in molti paesi i tassi di natalità siano da suicidio collettivo.

Così non è possibile continuare.

E il fattore da cui partire per provare a cambiare direzione è proprio l’immaginazione. Un fattore di per sé non sufficiente, si capisce, ma assolutamente necessario per dare linfa a un modo diverso di stare al mondo, un modo di vivere allenato a vedere nel mondo soprattutto delle possibilità.

L’umanità ha sempre immaginato, ovvero si è rappresentata mentalmente qualcosa che non esisteva, ma che, grazie all’azione umana, aveva il potenziale di esistere. Immaginare qualsiasi cosa: una selce scheggiata, un’organizzazione sociale, una app, un possibile esperimento scientifico, un pozzo, un’opera d’arte. Secondo alcuni l’immaginazione è la caratteristica principale che distingue la nostra specie da tutti gli altri essere viventi: che ciò sia vero o meno, è sempre stata l’immaginazione a spingerci a provare, a sperimentare, a trovare nuove vie, a non darci mai per vinti. È sempre stata l’immaginazione a nutrire la speranza, ovvero, a permetterci di guardare il futuro con la consapevolezza del possibile, di ciò che in questo momento non è, ma che potrebbe essere.

Tuttavia, al contrario di quanto è stato fatto in questi ultimi quarant’anni, l’immaginazione va non solo rispettata, ma anche attivamente incoraggiata e nutrita, nella società in generale e in particolare nelle scuole e nelle università. La comprensione rigorosa profonda del passato e dell’esistente coltivata nelle istituzioni del sapere, infatti, deve essere pensata non come fine a sé stessa, ma anche e soprattutto come terreno su cui far crescere rigogliosa la pianta dell’immaginazione.

Ecco perché l’edizione 2024 di Biennale Tecnologia, la manifestazione culturale del Politecnico di Torino, si intitola Utopie realiste. Abbiamo scelto la parola “utopie” per invitare a liberarci dal dogma del fintamente inevitabile per tornare finalmente a pensare, con audacia, futuri possibili. E poi a “utopie” abbiamo aggiunto “realiste” per far capire che non ci interessano i piani impossibili, le chimere, ma – in spirito politecnico – i futuri che poggiano sia su rigorose basi tecnico-scientifiche, sia su una solida conoscenza dell’umano.

È questo il tipo di immaginazione che praticheremo a Torino fino a domenica, grazie a più di 120 lezioni, dialoghi e discussioni con relatrici e relatori di tutto il mondo, a spettacoli teatrali, a mostre, a laboratori per i bambini, a programmi per le scuole, a presentazioni del personale di ricerca e docente del Politecnico, a visite nei laboratori dell’Ateneo.

Un grande palinsesto culturale e artistico che graviterà innanzitutto sulle due sedi principali del Politecnico, ovvero, il complesso di corso Duca degli Abruzzi e il Castello del Valentino, ma che includerà tutta la città, partendo dalle Officine grandi riparazioni (Ogr) per arrivare a piazza San Carlo (dove sarà possibile incontrare i team studenteschi del Politecnico) alle biblioteche civiche, alle Case di quartiere e alle decine di sedi dove avranno luogo gli incontri di Biennale Tecnologia Off.

Per concludere, l’immaginazione forse non è morta, ma di sicuro, come abbiamo detto, non sta molto bene. Tuttavia, possiamo farla tornare in salute e il primo passo è ricominciare a praticarla, tutti insieme. Con i piedi ben saldi per terra, ma leggeri, pronti a saltare. E con gli occhi spesso puntati alle stelle. È quello che proveremo a fare a Biennale Tecnologia. Vi aspettiamo.

Inaugurazione Biennale Tecnologia 2024

A seguire il testo del mio breve discorso all'inaugurazione di Biennale Tecnologia 2024 (Aula Magna, Politecnico di Torino, 18 aprile 2024).

Benvenuti a Biennale Tecnologia 2024!

E’ la quarta volta che il Politecnico invita non solo la sua comunità, ma tutta la cittadinanza - di tutte le età, scuole incluse - per parlare di tecnologia e società in maniera rigorosa, ma accessibile. Lo faremo grazie a 160 incontri, con quasi 300 ospiti, a laboratori, spettacoli, visite guidate, mostre, proiezioni, e con la collaborazione di decine e decine di partner, che ci hanno aiutato non solo ad arricchire il programma, ma anche a portare Biennale in tutta la città (e oltre!).

Il nostro modo di pensare alla tecnologia è distintivo, come si capisce dal motto che accompagna Biennale Tecnologia fin dal 2019: “Tecnologia è umanità”.

Per noi di Biennale la tecnologia cura e ferisce, protegge e uccide, diverte e costringe, produce e distrugge, inquina e pulisce, risolve e complica, nutre e contamina: insomma, la tecnologia è umanità, con tutte le sue contraddizioni, aspirazioni e pulsioni.

Abbiamo quindi l’ambizione di pensare alla tecnologia in maniera ampia e plurale. Vogliamo provare a cogliere – senza nasconderci i limiti e le difficoltà dell’operazione – la totalità dei suoi effetti, vogliamo cercare di mettere a fuoco non solo le sue caratteristiche attuali, ma anche le sue potenzialità, e non solo quelle che promettono ritorni economici, ma anche quelle che potrebbero dare contributi importanti di altro tipo alla collettività e alla vita sul Pianeta.

Uno sforzo di comprensione e di immaginazione ampio che richiede certamente il contributo delle discipline tradizionalmente politecniche, ma che richiede anche altri due tipologie di contributi: quello delle scienze umane, sociali e delle arti, per realizzare un dialogo tra discipline non facile, ma assolutamente essenziale; e quello della passione – culturale, politica, etica. Solo col contributo di tutti i saperi e della passione è possibile andare al cuore dei problemi e trovare soluzioni che funzionino davvero.

E solo così è possibile pensare a delle UTOPIE REALISTE, ovvero, immaginare con coraggio, ma non per il mero piacere di immaginare: immaginare avendo come obiettivo possibili realizzazioni, progetti, azioni concrete.

Tra i tanti argomenti che tratteremo, due - oggi più che mai di attualità- mi stanno particolarmente a cuore.

Il primo tema è quello della Grande accelerazione. Con questa espressione si fa riferimento a un periodo di cambiamenti senza precedenti che hanno avuto luogo a causa della presenza umana sul pianeta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi. In poco più di 70 anni:
  • La popolazione mondiale è più che triplicata, passando da poco più di 2 a oltre 8 miliardi di persone;
  • il numero di veicoli a motore è aumentato di 35 volte, da 40 milioni a 1,4 miliardi;
  • gli abitanti delle città sono quasi sestuplicati, passando da circa 700 milioni a più di quattro miliardi;
  • i tre quarti dell’anidride carbonica introdotta nell’atmosfera da attività umane da quando esiste Homo sapiens è stata introdotta dopo il 1945 (e più della metà negli ultimi trent’anni!).
La Grande Accelerazione continua inarrestabile anche oggi nonostante conseguenze sempre più evidenti, a partire dal riscaldamento climatico.

Il secondo argomento è quello che potremmo chiamare il lato oscuro della tecnologia, ovvero, quello legato, da una parte, all’uso poco democratico della tecnologia e, dall’altra, al mondo della guerra. Sono aspetti a cui Biennale Tecnologia, nella sua storia, inclusa questa edizione, ha sempre prestato specifica attenzione.

Relativamente alla guerra, con quanto sta avvenendo in particolare in Ucraina e a Gaza, l’argomento è di angosciante, bruciante attualità. Nella nostra manifestazione abbiamo trattato il tema della guerra e della pace, anche con l’edizione 2023 di “Tempi difficili”, col realismo, la sobrietà e la pluralità di punti di vista che da sempre contraddistinguono Biennale.

Ma anche questo tema - come tutti gli altri - l’abbiamo trattato, e lo tratteremo anche quest’anno, con la consapevolezza che il futuro non è scritto e che quindi, ragionando insieme, è possibile mettere a fuoco e costruire futuri migliori, in particolare, futuri di pace. La guerra non è inevitabile, come molti, purtroppo, sembrano dare per scontato. Al contrario: la pace è un'utopia non solo realista, ma anche necessaria.

Grazie.

Buona Biennale!

"Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica"

Il 22 settembre è uscito il mio secondo libro dal titolo: "Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica" (ADD Editore), con prefazione di Gustavo Zagrebelsky.
Lo usiamo tutti, nel 2021 ne sono stati venduti circa un miliardo e mezzo. Se in questi anni c’è stata una rivoluzione tecnologica, lo smartphone ne è il simbolo e in questo libro Juan Carlos De Martin affronta la questione da tutti i punti di vista, partendo da un dato di cui pochi colgono la straordinarietà: è necessario. Come è fatto, chi ne gestisce sistema operativo, store e dati, quali sono le conseguenze sociali che lo smartphone ha sul mondo. Ma un modo migliore per usare questa tecnologia c’è: De Martin lo propone nel manifesto finale, dove immagina un mondo in cui l’uomo sia padrone della macchina e possa servirsene con fiducia. Un libro che ci invita a riflettere su una mutazione epocale passata quasi inosservata, con la convinzione che un altro mondo è possibile.

«Non era mai successo nella storia dell’umanità che una macchina diventasse necessaria nella vita quotidiana di miliardi di persone. È arrivato il momento di chiederci cosa stiamo facendo.»

(Eventi e rassegna stampa presenti anche sul sito dell'editore)

INCONTRI PUBBLICI

  • 23 settembre 2023, ore 12:30, Piacenza, Festival del pensare contemporaneo, "Contro lo smartphone", con Stefano Moroni.
  • 28 settembre 2023, ore 18:00, Torino, Libreria Bodoni, via Carlo Alberto 41, con Gustavo Zagrebelsky e Alessandra Quarta.
  • 26 ottobre 2023, ore 18:00, Torino, Circolo dei Lettori, "Contro lo smartphone", con Bruno Ruffilli.
  • 29 ottobre 2023, ore 15:00, Genova, Palazzo Ducale, Festival della Scienza, "Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica".
  • 9 novembre 2023, ore 18:00, Milano, Libreria Hoepli, "Contro lo smartphone", con Andrea Daniele Signorelli.
  • 10 novembre 2023, ore 18:30, Torino, Fondazione Amendola, via Tollegno 52, con Rosita Rijtano e Fabio Malagnino.
  • 1 dicembre 2023, Firenze, Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, Wired Next Fest.
  • 9 dicembre 2023, Roma, "Più liberi più libri", La Nuvola.

INTERVISTE, ARTICOLI, RECENSIONI, RADIO E TV



Candidato a Rettore del Politecnico 2024-2030

Oggi 30 giugno 2023 mi sono dimesso da delegato del Rettore per la cultura e la comunicazione e ho annunciato alle colleghe e ai colleghi del Politecnico che intendo candidarmi a Rettore per il mandato 2024-2030. Sul sito Politecnico Futuro è possibile trovare la mia lettera aperta, il mio invito a contribuire alla elaborazione del programma, il mio libro "Università futura - tra democrazia e bit" e altro ancora. Il motto della mia candidatura è: Mente, cuore, mani (sul sito spiego perché). Testata del sito elettorale di J.C. De Martin

Gli ultimi cinque anni al Politecnico

Cinque anni fa oggi (il 16 marzo 2018) iniziava una parte della mia vita molto impegnativa, e a tratti difficile, ma ricchissima di soddisfazioni. Se cinque anni fa, infatti, qualcuno mi avesse detto che - oltre al resto (che è tanto: moltissimo lavoro, infatti, è stato fatto dietro le quinte e sotto al cofano) - sarebbero nate Biennale Tecnologia, di cui abbiamo già fatto tre edizioni e stiamo già lavorando alla quarta, "Tempi difficili" (edizione 2021, dedicata alla pandemia, ed è iniziata ieri l'edizione 2023, dedicata alla guerra e alla pace), "Cinque libri", "LiberiLibri"; che avremmo avuto un nuovo logo del Politecnico, con corrispondente nuova identità visiva e un nuovo sito web (rifatto da zero per la prima volta in 25 anni); che sarebbe nato il Centro Theseus su tecnologia, umanità e società, con relative assunzioni di umanisti e scienziati sociali; che tutti gli studenti di ingegneria avrebbero seguito un corso "Grandi sfide", co-insegnato da un ingegnere e uno scienziato sociale o umano (con lezioni introduttive di Jeffrey Sachs e Telmo Pievani, tra l'altro liberamente accessibili online), ebbene, probabilmente non ci avrei creduto.
Invece è successo. Naturalmente grazie al sostegno del Rettore Guido Saracco, degli Organi di Governo, di molti colleghi e di una squadra di collaboratori eccezionali.
In ogni caso, però, non è mica finita: manca un anno. E in un anno si possono ancora fare tante cose, per il Politecnico con tutta la sua comunità accademica, per Torino e, perché no, un po' per tutti. Incontro pubblico per l'inizio del mandato del Rettore Guido Saracco 16 marzo 2018

La tecnologia per capire l'Umanità ("La Stampa")

La tecnologia è ovunque. La indossiamo, la usiamo per spostarci, per scaldarci, per nutrirci e per mille altre attività. Non solo: viviamo letteralmente dentro alla tecnologia. E’ infatti artificiale l’ambiente in cui spendiamo gran parte della nostra vita, a casa, al lavoro, in città.

Forse per questa sua onnipresenza molte persone ormai considerano la tecnologia come una sorta di natura, qualcosa di cui si prende passivamente atto, così come si prende atto di un temporale o di un monte.

Tuttavia pensare alla tecnologia in questo modo è un problema, innanzitutto culturale, ma non solo culturale: pensare alla tecnologia come se fosse “natura”, infatti, ci impedisce di capirla davvero, con ricadute molto concrete anche in ambito economico e persino nei rapporti internazionali.

La tecnologia, infatti, non è “data”. Al contrario, la tecnologia è costituita da ciò che, non esistendo in natura, viene portato in esistenza grazie allo sforzo deliberato di una persona, nel caso più semplice dell’artigiano o dell’artista, o di molte migliaia di persone nel caso delle tecnologie più avanzate. Quindi la tecnologia è umanità, come recita il motto di Biennale Tecnologia, la grande manifestazione culturale organizzata dal Politecnico che inizia oggi, nel senso che la tecnologia è sognata, progettata e realizzata da esseri umani per obiettivi – nobili, banali o atroci che siano – strettamente umani.

Per questo motivo se guardassimo la tecnologia con occhi consapevoli, ci dovremmo vedere riflessi noi stessi. Tranne casi particolari non personalmente noi stessi, ma certamente gli esseri umani che da qualche parte nel mondo hanno scavato la terra per tirare fuori i minerali necessari, che hanno ideato, progettato e prodotto i componenti, che hanno assemblato e dato forma al tutto, che l’hanno trasportato magari all’altro capo del mondo, che l’hanno venduto e che infine l’hanno smaltito.

Allo stesso modo se guardassimo la tecnologia con occhi consapevoli ci vedremmo dentro anche il nostro pianeta: le miniere da cui sono usciti i materiali, i pozzi petrolifere o le pale eoliche che hanno prodotto l’energia, le fabbriche che hanno raffinato e prodotto, le discariche che hanno smaltito, le conseguenze di tutto questo sui fiumi, i mari, la vegetazione, la fauna, l’atmosfera.

Infine se guardassimo alla tecnologia con occhi consapevoli ci vedremmo riflesse le conseguenze della tecnologia - positive e negative, banali o importanti che siano - sui bambini e sugli anziani, sui poveri e sui benestanti, sulla democrazia e sui rapporti personali, sulla salute fisica e mentale, sulla guerra e sulla pace, sul progresso o sul degrado morale dell’umanità, sul “Sud” e sul “Nord” del mondo.

Da oggi fino a domenica sera Biennale Tecnologia offrirà, dunque, proprio questo ai suoi visitatori: li aiuterà a vedere in ogni oggetto tecnologico - semplice o complesso che sia - un sorta di prisma da cui si irradiano mille raggi, in mille direzioni diverse.

Apparso su "La Stampa", edizione di Torino, giovedì 10 novembre 2022, p. 39 + 51.

Perché Biennale Tecnologia ("Robinson - La Repubblica")

La cultura è una. Non due, tre o addirittura quattro. Esistono varie forme di sapere, questo sì. Ma la cultura è costituita dall’intrecciarsi, dal compenetrarsi dei vari saperi, dal confronto. Un confronto certamente consapevole degli statuti epistemologici dei singoli saperi, con i loro punti di forza e i loro punti ciechi, ma comunque un confronto programmaticamente scevro di arroganza, anzi, rispettoso, curioso, umile (nel senso di attaccato al suolo, all’humus).

È a partire da queste premesse che il Politecnico di Torino idea, progetta e organizza, con l’importante contributo di molti partner, Biennale Tecnologia, la manifestazione culturale che dal 2020 si alterna all’altra grande biennale torinese, Biennale Democrazia, che fin dal 2009 promuove, nel ricordo di Norberto Bobbio, una riflessione interdisciplinare sui temi della politica.

Il primo obiettivo di Biennale Tecnologia è quello di realizzare una manifestazione culturale che offra – su grande scala – un dialogo paritario e inclusivo tra saperi. Ingegneria, architettura e le altre discipline tradizionalmente politecniche in dialogo con le scienze naturali, le scienze umane e sociali e le arti, impiegando un ampio spettro di modalità, dalla lezione magistrale al dibattito, dallo spettacolo teatrale alla mostra, dal concerto alla proiezione cinematografica e alla lettura poetica.

Il secondo obiettivo riguarda il tema della manifestazione, ovvero, la tecnologia. L’intenzione non è solo quella – pur cruciale – di condividere sapere tecnologico; c’è anche un altro obiettivo, non meno importante, ovvero, quello di promuovere un modo diverso di pensare alla tecnologia. Diverso sia dal modo di pensare alla tecnologia di molti “tecnici”, sia dal modo con cui pensano alla tecnologia la maggior parte delle altre persone. Il senso comune relativo alla tecnologia, infatti, è infestato di luoghi comuni, di ingenuità e di mistificazioni, col risultato che la capacità della collettività – élite incluse – di pensare in maniera realistica alla tecnologia è spesso molto debole. Debole – in estrema sintesi - perché i tecnici raramente sono consapevoli della natura socio-politica della tecnologia, che considerano, a torto, “neutra” nonché per definizione sinonimo di “progresso”, e debole perché molti non tecnici pensano che la tecnica si riduca a meri strumenti, non di rado negativi e comunque tendenzialmente indegni di attenzione intellettuale o politica. È una debolezza generalizzata che, oltre a rappresentare un serio limite culturale, produce problemi rilevanti per la democrazia, per la vita economica, e persino per i rapporti internazionali.

Per rimediare a una debolezza cognitiva così radicata e diffusa la via maestra è il dialogo tra saperi. È solo gettando luce da diverse angolature, infatti, che è possibile superare gli stereotipi e avvicinarsi - forando la corazza prodotta dalla consuetudine - all’essenza della tecnologia.

È importante farlo nel mondo della formazione e della ricerca, e il Politecnico si è attivato anche in questa direzione, facendo seguire a tutti gli studenti di ingegneria un insegnamento interdisciplinare chiamato “Grandi sfide” e istituendo il centro studi Theseus su tecnologia, umanità e società.

Ed è ovviamente importante farlo con iniziative rivolte al grande pubblico, come appunto Biennale Tecnologia, il cui motto, fin dalla prima edizione, è, non a caso: “Tecnologia e/è umanità”.

Dopo la prima edizione del 2019, per celebrare i 160 del Politecnico e inaugurata da Joseph Stiglitz, e l’edizione 2020, tenutasi interamente online causa COVID-19, dal titolo: “Mutazioni – per un futuro sostenibile” - siamo ora giunti alla terza edizione. Dal 10 al 13 novembre, infatti, Biennale Tecnologia torna in presenza a Torino col titolo: “Princìpi – Costruire per le generazioni”. L’inaugurazione del 10 novembre si aprirà con una lezione magistrale di Nicholas Nassim Taleb, il celebre studioso de “Il cigno nero” e “Antifragile”, e poi in serata alle OGR la prima assoluta di uno spettacolo teatrale di Marco Paolini e Telmo Pievani dal titolo: “Gli Antenati della Fabbrica del Mondo”.

Come titolo di Biennale Tecnologia abbiamo scelto “Princìpi” perché ci è sembrata una parola particolarmente utile, coi suoi molti significati, per affrontare le grandi complessità di questo periodo storico: princìpi fondativi nel senso delle fondamenta concettuali, metodologiche o fattuali di una disciplina, di una scienza o di una dottrina; princìpi nel senso specifico, ma suggestivo dei principi attivi di una sostanza; princìpi nel senso di avviare, di intraprendere; princìpi nel senso di norme morali o valori etici. E come sottotitolo abbiamo scelto “costruire per le generazioni” sia perché fare tecnologia significa portare in esistenza qualcosa che non esiste in natura, sia perché forse mai come ora l’idea stessa di generazioni future è in pericolo, minacciata non solo dal disastro ambientale, ma anche dal rinato spettro della guerra nucleare.

Negli oltre 150 incontri di Biennale Tecnologia 2022, negli spettacoli, nelle mostre, nei concerti, nelle proiezioni cinematografiche (inclusa la Notte Miyazaki alla Mole Antonelliana) penseremo al digitale, all’energia, ai trasporti, all’architettura, allo spazio, alle infrastrutture e a molti altri temi tecnologici facendo dialogare ingegneri, architetti e designer con filosofi, sociologi, economisti, fotografi, scrittori, archeologi, antropologi, storici e molti altri portatori di varie forme di sapere. Tutti invitati a Torino per provare a sviluppare un pensiero all’altezza del momento storico, con l’obiettivo primario di provare a capire che cosa possiamo concretamente fare per assicurare che siano ancora molte le generazioni che daranno seguito alle 4.000 generazioni di homo sapiens che hanno finora calcato l’humus di questa nostra terra.

Apparso con piccole modifiche su "Robinson" de "La Repubblica", sabato 5 novembre 2022, col titolo: "La cultura si parla", p. 27

LA SFIDA GEOPOLITICA (dal libro "Università futura", 2017)

Nel dicembre 1991 finiva l’esperienza dell’Unione Sovietica. Dopo quasi cinquant’anni terminava, dunque, la contrapposizione tra due superpotenze, gli USA e l’URSS, che si erano divise il mondo in zone di influenza ispirate a sistemi economico politici contrapposti: democrazia liberale e capitalismo da una parte, socialismo reale dall’altra.

Il ventesimo secolo, noto come il “secolo americano”, si chiudeva con una schiacciante vittoria degli Stati Uniti contro il nemico storico e il mondo entrava quindi in una nuova fase, dominata da un’unica superpotenza e sostanzialmente da un unico modello economico.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e della relativa zona di influenza, centinaia di milioni di lavoratori entravano nel mercato del lavoro globale, decine di paesi si aprivano sia per ricevere prodotti dall’estero sia per esportare merci e materie prime, il tutto all’insegna di una globalizzazione sempre più spinta, soprattutto in ambito finanziario.

Proprio mentre l’Unione Sovietica si disintegrava, diventava macroscopicamente evidente un altro processo di enorme importanza, ovvero il decollo economico della Cina. A partire dalle riforme introdotte da Deng Xiao Ping nel 1978, nell’arco di trent’anni la Cina si era trasformata da paese prevalentemente agricolo a fabbrica del mondo. L’intensa crescita economica – che dal 1992 al 2016 oscilla tra il 6% e il 15% – inevitabilmente solleva la questione della sua crescente potenza. Una potenza che si proietta soprattutto economicamente – con un numero maggiore di accordi bilaterali soprattutto in Africa e in America Latina – ma che inevitabilmente inizia ad assumere anche una dimensione politica e militare. Con la crescita della Cina – e, in misura minore, di Brasile, Russia, India e Sud Africa, i cosiddetti BRICS – si inizia anche a parlare di possibile fine del “secolo americano” e, comunque, di declino americano. Anche chi ritiene che l’egemonia statunitense durerà probabilmente ancora numerosi decenni, come Joseph Nye nel suo recente libro Fine del secolo americano?, non può però non porsi il problema di quale sarà il nuovo assetto mondiale a regime. Andiamo forse verso alcune grandi zone di influenza in concorrenza tra di loro per le risorse del pianeta, un mondo multipolare? O la Cina alla lunga emergerà effettivamente come nuova superpotenza al posto degli Stati Uniti? Negli ultimi cento anni, ogni cambio di assetto a livello mondiale ha prodotto devastanti guerre mondiali: questa volta riusciremo a evitare traumi di quella magnitudo? Che cosa si può fare concretamente – a vari livelli – per mitigare il rischio che scoppi una guerra per l’egemonia mondiale?

Per l’Europa la situazione è particolarmente difficile. Non solo per la crisi sempre più evidente dell’Unione Europea – scossa dalle fondamenta dalle contraddizioni dell’euro, dalle conseguenze del referendum sulla Brexit del Regno Unito, dalla crisi dei migranti – ma anche per la situazione ai suoi confini. Dall’Ucraina a est alla Libia a sud, passando per il Medio Oriente, l’Europa confina con guerre civili più o meno aperte (Ucraina), autoritarismi (Turchia), guerre spaventose (Siria), conflitti storici ormai incancreniti (Israele-Palestina), dittature (Egitto) e Stati falliti (Libia). Cinquemila chilometri di conflitti con alle spalle una seconda cerchia di situazioni di crisi – Mali, Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Pakistan – tutte terre da cui partono i disperati che provano a raggiungere l’Europa con ogni mezzo.

Il tutto nel contesto di una rinnovata tensione tra Stati Uniti e la Russia di Putin. Dimenticato, infatti, il disgelo di inizio secolo, quando Putin incontrava George W. Bush nel suo ranch e si parlava persino di un possibile ingresso della Russia nella NATO, ora la Russia è tornata a essere – se non il nemico dei tempi della guerra fredda – certamente un avversario importante105. L’Europa, e in particolare la Germania (ma con un ruolo non trascurabile anche dell’Italia), dopo essere stata tentata da un asse politico commerciale che, includendo la Russia, poteva arrivare fin sulle sponde del mar del Giappone (magari comprendendo, a certe condizioni, anche la Cina), si scontra ora – come non era difficile aspettarsi106 – contro un nuovo Muro, collocato mille chilometri più a Est di quello di Berlino (nonostante le rassicurazioni americane che ciò non sarebbe mai successo107), rafforzato dalle sanzioni contro la Russia per la vicenda Ucraina e da un progressivo riarmamento della NATO. Il risultato è stato finora un rimbalzo sull’Atlantico, un consolidarsi dell’integrazione tra Stati Uniti ed Europa108 che sembra prefigurare una delle zolle geopolitiche verso cui pare avviarsi l’organizzazione del mondo sotto la spinta congiunta di forze politiche, militari, economiche, culturali, climatiche e demografiche, anche se la recente elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti apre una fase di grande imprevedibilità.

Infine ci sono le tensioni che attraversano i paesi a prevalenza musulmana, in particolare nel Nord Africa e nel Medio Oriente, situazioni complesse, caratterizzate da specificità nazionali molto forti, quindi difficili da ricondurre a un minimo comun denominatore che non sia, da una parte, l’ombra lunga del passato coloniale e, dall’altra, le ancora forti ingerenze dei paesi occidentali, come evidenziato dal tragico caso della Libia. Tensioni che contribuiscono a creare un terreno favorevole a fenomeni come Al Qaeda e ISIS, con propaggini terroristiche anche sul suolo europeo.

In questo scenario – è importante rimarcarlo – non c’è nulla di inevitabile. Ci sono certamente delle tendenze di fondo, dettate dalle forze in campo, dalla situazione socio economica e da chi è attualmente al potere nei principali paesi, ma nessun destino ineluttabile. La sfida geopolitica è, quindi, quella di immaginare e studiare i pro e i contro delle tendenze in atto e le alternative possibili, con l’obiettivo assolutamente primario di promuovere la pace.

Tratto da J.C. De Martin, "Università futura - tra democrazia e bit", Codice Edizioni, 2017, pp. 35-38 (nell'originale sono presenti le note al testo qui sopra riportato); il volume, oltre che regolarmente acquistabile, è anche scaricabile con licenza Creative Commons da questo sito.

6 Novembre 2019

Due anni fa a quest’ora eravamo alla vigilia del Festival della Tecnologia, il cui sottotitolo era: "Tecnologia e/è umanità”. Il 7 novembre 2019, infatti, avremmo inaugurato la grande festa per i 160 anni del Politecnico con una lectio magistralis del grandissimo Joseph E. Stiglitz, a cui sarebbero seguiti 3 giorni intensissimi di incontri (circa 160), spettacoli, mostre, concerti, laboratori per bambini, ecc. , organizzati insieme a decine di partner.

In quel 6 novembre 2019 non eravamo affatto sicuri che il grande pubblico (a partire dai nostri studenti) sarebbe stato attratto da un tema come tecnologia e società... Sarebbero venuti? Anche il sabato e la domenica mattina? Ovviamente speravamo di sì, ma non ne eravamo affatto sicuri. Abbiamo quindi rischiato.

La risposta del pubblico alla nostra proposta fu nientemeno che eccezionale. Commovente. 50.000 persone di tutti i tipi (tra cui migliaia di nostri studenti), infatti, varcarono la soglia del Politecnico per affollare gli incontri del Festival, moltissimi dei quali tutti esauriti.

Un successo così emozionante, quello del Festival della Tecnologia, da indurre tutti a chiedere al Politecnico di farlo diventare un appuntamento ricorrente. Nasceva così Biennale Tecnologia, la manifestazione sorella di Biennale Democrazia (nata nel 2009), con cui si sarebbe alternata negli anni pari mantenendo lo stesso sottotitolo del Festival, ovvero: "Tecnologia e/è umanità".

La prima edizione di Biennale Tecnologia la tenemmo - ahimé, tutta online - un anno fa e ora siamo già al lavoro con l'amico Luca De Biase per la seconda edizione, che si terrà a metà novembre 2022.

Ma tutto nacque da quella scommessa vinta due anni fa, che dimostrò come nel pubblico ci fosse un’enorme richiesta insoddisfatta di ragionamenti accessibili, ma seri sul rapporto tra tecnologia e società, tecnologia e ambiente, tecnologia e vita personale, tecnologia e arte, ecc.

Un’esperienza memorabile, quella del Festival della Tecnologia del 2019, ben catturata da questo breve video:



Un’esperienza che speriamo di replicare, con pari entusiasmo e con successo se possibile ancora maggiore, tra un anno esatto.

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